domenica 11 novembre 2007

Ratatouille: non è un gioco da bambini

Alla fine l'ho visto pure io. Meglio tardi che mai.
Causa coda inimmaginabile all'ingresso del cinema (tutti a vedere "Come tu mi vuoi", dove c'è la Capotondi in versione brutta, wow), ci siamo persi il cartoon che la Pixar propone sempre all'inizio dei propri film. (a proposito, com'era?)
Ratatouille. Dettagli grafici minuziosissimi e godibilissimi, virtuosismi espressivi (i personaggi animati sono ormai meglio di tanti attori in carne ed ossa, sob), gag a chicchi gustosi qua e là. Una morale solida. Superbo. Tanto di cappello.
Ma.
Mi dicono che il film Ratatouille non piace molto ai bambini.
Ebbene, sarò una bambina, ma il film non mi ha convinto. Mi ha lasciato qualche sensazione strana.
1) Non si gioca con la fantasia. Un amico scandalizzato mi aveva anticipato che in Ratatouille avviene un micidiale paradosso per cui il mondo degli umani e quello dei topi parlanti ad un certo punto si mischiano in un modo insolito, e senza che ciò crei stupore nei personaggi del film. E in effetti così è: la separazione tra i due universi umano e animale è salvata nelle apparenze solo dal fatto che le parole che il topo scambia coi suoi simili sono udite come squittii dal ragazzo. Ma per il resto topo e ragazzo comunicano, eccome! (al che, se il topo può capire le parole del ragazzo e annuire alle sue domande, tanto vale farlo parlare, no? sennò è solo un topo muto. Anche in Madagasgar c'era il leone che si sforzava di esprimersi, però gli umani udivano solo dei terribili ruggiti e morivano di paura! Il leone mai e poi mai avrebbe potuto farsi capire dagli umani, né annuendo né in altro modo: da qui la separazione dei due mondi, da qui il contrasto senza soluzione). E vabè. Ma c'è di più. Il piccolo segreto tra i due, che tale dovrebbe rimanere (come nei rassicuranti cartoni della nostra infanzia come Creamy, in cui la ragazzina era magica e speciale proprio perché era l'unica a parlare con Posy e Mega), è ben presto condiviso con tutti gli altri cuochi del ristoranti. E qui, anziché avvenire una catastrofe termonucleare, il dramma si risolve con l'accettazione serena del fatto. Di solito non è così nei cartoni. Il fatto che la realtà si mischi con la fantasia in due modi diversi e sovrapposti (uno, gli animali comunicano davvero con il ragazzo, e in più il ragazzo non è un ragazzo speciale, perchè non è l'unico a vedere ciò che accade) rompe ben due regole della identificazione. Io, bambino, non potrò mai immaginare nei miei giochi che i topi mi capiscano, perché i topi non annuiscono mai nella realtà (posso invece immaginare che, quando io non sono con loro o appena volto le spalle, i miei giocattoli si animino per magia, come in Toy Story: questa magia è possibile, perché avviene solo quando io non la vedo). E quand'anche io, bambino, riuscissi a immaginare che un topo possa capirmi, beh, allora devo essere l'unico a poterlo fare. Se lo fanno tutti non c'è gusto! Per cui io, bambino, ti avverto: ogni gioco di fantasia ha le sue regole. Questa che mi proponi non è magia del tutto, e non è neanche del tutto realtà . E a me non mi fai mica fesso.
2) Qui solo tavola fredda. Sorpassiamo il paradosso di cui sopra e lasciamo perdere la fantasia. Il topo è dunque metafora di un essere appartenente ad una classe considerata inferiore che l'uomo scaccia con la scopa, e che però ha le sue qualità e i suoi valori ("non rubare, non rubare": quante volte lo ripetono?). E questo un adulto lo capisce e ne gode. Ma io, bambino, mi annoio. Il film è solo morale da adulti, non usa altri codici se non quello del "detto" e "spiegato". Se ci fate caso tra topo e ragazzo non si instaura un vero legame. Non ci sono lacrime, non c'è sofferenza. Non c'è affetto, non c'è amore in Ratatouille (ricordate l'ultimo sguardo di Sullivan alla bambina in Monsters&Co., quando lui la lascia nella cameretta, il cuore gonfio di affetto e tristezza insieme? ditemi chi di voi non si è commosso). In Ratatouille, la temporanea separazione tra i due protagonisti è vissuta con terrore dal ragazzo solo perchè c'è di mezzo un ristorante che rischia il fallimento! Non ci sono abbracci, nè carezze. Solo i teneri grandi occhioni di un topino che guarda implorante noi. E noi vorremmo tanto abbracciarlo e carezzarlo e stringerlo, e toccherebbe al ragazzo farlo per noi. Ma lui non lo fa! Non c'è affetto, non ci sono sentimenti. Il topo resta topo, e serve a cucinare. Il topo, a sua volta, vuole un lavoro per riscattarsi dal proprio destino di ladro. E il riscatto c'è alla fine, ma senza amore. Il topo è solo, preso nel mezzo tra una cinica famiglia di roditori e un ragazzo che pensa solo alla topa. Il ragazzo è solo, orfano di entrambi i genitori e succube di una chef donna che lo comanda a bacchetta ma di cui si innamora (scusate, ma quand'è che al ragazzo gli nasce l'amore per lei? lo vediamo cotto così, all'improvviso!). Topo e ragazzo sono due esseri soli che si aiutano a vicenda. Io, bambino, non vedo affetto, vedo solo bisogni.
3) Scusate, ma il cattivo chi è? In cucina non c'è dramma, ahimè, non c'è contrasto. Il male (lo chef nanetto che commercia burrito: buuu, il fast food!!! Ma a me, bambino, il fast food piace un casino, e poi lo chef ciccione sui cartelloni è così simpatico!!!) non è incarnato nel maligno, ma nel buffo. Quindi il male non fa paura. Il male minore, ovvero lo spauracchio (il critico Anton Ego) fa un po' paura, sì, perché sembra uno zombie, ma sappiamo che più di tanto male non può farci (voglio dire, una cattiva recensione mica uccide, no? lo sanno anche i bambini!!!) Ed è un peccato non averlo visto così cattivo, non averlo preso così sul serio, perchè il momento più tenero del fim è proprio quando vediamo l'allampanato e cadaverico critico che ritorna bambino. La mamma, le sue pappe buone. Le lacrime asciugate dopo una caduta in bicicletta.
4) Dove sta il pericolo? In cucina non c'è un vero pericolo (a parte i coltelli, che tutti maneggiano così bene). Nel film non c'è mai un vero momento di crisi. Il nostro topo non è mai in difficoltà. Solo all'inizio, con la vecchia che gli spara addosso. Ma io, bambino, so che il topo non può morire, perché è il protagonista del film e perché il film è appena iniziato. Per cui aspetto il pericolo vero. E non lo trovo, neanche quando il topo è chiuso nel baule di una macchina. Quella per me non è una situazione critica. Forse perché non riesco a capire dove sta il problema se il topo non arriva in tempo a salvare il ristorante di un ragazzo che non gli fa manco una carezzina, di tanto in tanto. Sono in venti in quella cucina, cucineranno loro una volta tanto, cavolo!
(a proposito, piuttosto che sfondare il baule con le statue del palazzo, che fa tanto vandalo, non potevano rivolgersi ad un topo-ladro della colonia esperto scassinatore di camion di derrate alimentari che avrebbe potuto usare la sua arte per il trionfo del bene???)
4) Un grillo parlante ha sempre qualcosa da dire. Le apparizioni del grande chef Gusteau al topo non funzionano. Lo chef si pone inizialmente come un grillo parlante ("non rubare, non rubare", aridaje), salvo poi dichiararsi confuso sul da farsi tanto quanto il topo. E io, bambino, mi dico: eh, no, o sei un grillo parlante, o sei un'apparizione messa lì per farmi ridere. Cosa sei? Sono una proiezione di te stesso, della tua coscienza. Eh??? Scusa, ripeto la domanda: sei un eroe tu e mi guidi nella vita o sono un eroe io e devo riscattare la tua fama??? Boh, nessuna delle due. Non capisco.
Io, bambino, non capisco come si gioca, a questo gioco qui.

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Di Tengi |

22 Commenti:

  Alle 10:31 AM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Allora. Il corto iniziale (storia di un alieno bambino che fa pratica su come si rapiscono gli adulti col raggio magnetico dell'astronave) era ovviamente fichissimo. In più ti sei persa il trailer sul nuovo Pixar, una cosa su un robottino demolitore che cerca un nuovo senso delle vita che ti farà piangere dai titoli di testa.

Detto questo, interessante la tua analisi del film in base al viaggio dell'eroe di Vogler, testo sacro degli sceneggiatori americani, che spiega dove e come vanno messi i momenti di crisi, la svolta, la figura del mentore (il grillo parlante) e la soglia da varcare per accedere al mondo fatato e per tornare a casa.

In effetti questi elementi mancano, o sono molto raffinati (chi è il cattivo? Il critico gastronomico fighetto, o lo chef che vuole trasformare l'alta cucina in mercificante gastronomia da busta? mamma che paura) e ai bambini il film non piace.

Però io ho 33 anni, non ho figli, mi sono divertito tantissimo, e per una volta tanto chi se ne frega di sti mostriciattoli, tornassero al prossimo giro, che hanno tempo.
  Alle 12:41 PM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Ho adorato Sullivan.
Ti propongo come critica cinematografica al posto della Natalia Aspesi.
  Alle 1:28 PM Blogger Tengi ha fatto una pausa per dire:
Vabè dai adesso non è che passo per una dalla lacrima facile?
Non si parla di melassa necessaria, si parla di storie che stiano su da sole. Sia che abbiamo personaggi in carne ed ossa come no.
Non conosco il testo di Vogler (andrò a leggerlo): diciamo che ho dato ascolto al fanciullino che è in me.
Per il resto mi sono divertita pure io, non è che son rimasta come una stoccafissa!
Grazie per il riassunto del corto. Attendo con ansia il robottino demolitore.
  Alle 2:56 PM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Disamina lucida e condivisibile,
seppur un po' prolissa.

Applaudo e confermo.
Tengi Kezich.
  Alle 3:09 PM Blogger Tanuccio ha fatto una pausa per dire:
Ammazza che critica... Bella e intelligente... Però mi chiedo se il bambino ha pensato a tutto ciò...
  Alle 3:24 PM Blogger Unknown ha fatto una pausa per dire:
Il bambino non l'ha pensato, ma l'ha percepito.
Brava Tengi, hai tradotto benissimo la sensazione non-positiva di un bambino che guarda questo film.

Selene (con due bimbi insoddisfatti)
  Alle 4:55 PM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Tengi, se fossi tu la protagonista di una di queste storie animate (e perchè no?!) il pericolo starebbe senza dubbio nella tua lingua tagliente!
  Alle 7:10 PM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Ma... il Guest è ancora lì??
  Alle 8:13 PM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Ecco il corto iniziale (tutte le fortune sta tengi):

http://www.metacafe.com/watch/810697/pixar_lifted/
  Alle 10:48 PM Blogger Tengi ha fatto una pausa per dire:
Il cortoooooo!
Sono proprio una donna fortunata. Che lettori che ho, che lettori!
  Alle 9:39 AM Blogger Tengi ha fatto una pausa per dire:
Riporto qui il commento di PAvo (http://vistasulmondo.blogspot.com/) apparso su VeronaBlog, un ottimo esempio di sintesi.

"Per noi “grandi” è forse più facile lasciarci trasportare in un mondo magico di cui possiamo ricostruire gli aspetti sottointesi o inespressi. Ma il bambino no, lui li vuole evidenti, sennò si sente imbrogliato e non ci sta.

Pixar ci ha abituati a trame e sceneggiature sempre più “adulte” e raffinate. Fino ad oggi però tutte le componenti stavano al loro posto in un ordine manicheo ineluttabile. Con differenti piani di lettura. In Ratatouille, invece, qualcosa si è rotto. E’ innegabile.

Forse che con la scomparsa delle canzoni dai cartoni, il cuore ci si è incallito e siam diventati più vecchi…"
  Alle 9:46 AM Blogger DiamondDog ha fatto una pausa per dire:
Analisi lucidissima.
Ma partiamo un pò più indietro e chiediamoci da quando la Disney/Pixar ha spostato il focus sugli adulti.
Perchè non è il primo film che sembra diretto ai genitori più che ai figli.
Il pur bellissimo "Cars" ed anche il grande "Nemo" che, pur con un linguaggio bambineso, parlavano della ricerca di sè stessi e delle proprie radici erano forse diretti ai bambini? Magari la sceneggiatura aveva meno "falle" ma condividevo ciò che dici tu adesso già da allora.
  Alle 9:56 AM Blogger Tengi ha fatto una pausa per dire:
In Cars e in Nemo non c'erano falle. La paura ti coglieva solida e presente alla scena in cui Nemo era preso nella rete assieme ai tonni. E, ti dirò, c'erano molte più scene divertenti.
In Cars il Male (le economie di scala, la velocità della vita moderna, la mancanza di valori e di tradizioni) rappresentato dall'autostrada, era ben tratteggiato, visibile, senza sbavature. E il Bene, rappresentato dalla vecchia Route66, era vicino allo spettatore, umanizzato attraverso i suoi personaggi, le auto.
Direi forse che è diversa la morale stessa che la Pixar propone nei suoi film, forse. Da una morale manichea (Bene vs Male, le grandi lotte), a una morale più vicina alla vita di tutti i giorni, più a misura d'uomo.
Io, uomo, cosa sono, qual è il mio scopo nella vita, come mi posso realizzare, come mi posso affrancare da un destino che sembra già scritto?
ahia... ahia... mi sembra di averla già sentita, 'sta roba! :-)
  Alle 1:52 PM Blogger DiamondDog ha fatto una pausa per dire:
Ehi non credevo fossi così esperta di cartoons. Grande!
Sono annichilito.
Mi rendo conto che io li ho sempre guardati in modo molto superficiale
  Alle 3:05 PM Blogger Unknown ha fatto una pausa per dire:
A leggere il tuo post mi sento meno merdaccia, visto che sono l'unico blogger che non lo andrà a vedere ! :-)
  Alle 3:09 PM Blogger Tengi ha fatto una pausa per dire:
mavalà Tom, ma che dici. non esiste nessuno di più superficiale di me quando si tratta di guardare film.
è che st'analisi mi ha preso la mano.
  Alle 4:19 PM Blogger MOZ ha fatto una pausa per dire:
..."solo i teneri grandi occhioni di un topino che guarda implorante noi. E noi vorremmo tanto abbracciarlo e carezzarlo e stringerlo"...

Voglio vedere se davanti ad un topo di fogna ti viene davvero voglia di abbracciarlo ed accarezzarlo...
Hehehehehehe...
  Alle 4:21 PM Blogger Tengi ha fatto una pausa per dire:
ma manco morta.
  Alle 6:12 PM Blogger Categong ha fatto una pausa per dire:
Guarda:
se uno mi tirasse i capelli tutto il giorno non avrei tutta questa voglia di fargli carezzine.

Che poi sti' bimbetti li rimbambiamo con tutti questi cartoni animati volemosebbenisti, costringendoli a reprimere ogni egoismo fino ad una certa età.

Poi la vita non fa che deluderli, finché non si formano gli anticorpi alla stronzagine.

Il primo passo è quando scoprono che babbo natale non esiste.

Non sarebbe meglio prepararli per tempo?
  Alle 8:58 AM Anonymous Anonimo ha fatto una pausa per dire:
Concordo pienamente con Cate...
Baci

Brian
  Alle 5:32 PM Blogger gparker ha fatto una pausa per dire:
si chiamano film complessi, quelli dove il bianco e nero sono sfumati e dove le strutture classiche saltano, qualcosa che è tipico dell'unione del cinema classico americano con quello moderno europeo (che si basa su altro).
La Pixar ha fatto un film complesso dove non ci sono avversari da sconfiggere (anche se lo chef nano è proprio questo, il cattivo che mira a rompere i piani del protagonista, lo insegue, lo caccia e fa di tutto fisicamente e mentalmente per vincere lui a scapito dei protagonisti) e manca lo showdown finale (altro momento topico). Porta avanti l'evoluzione di un genere e se vogliamo (e per quanto mi riguardo lo vogliamo) lo leva dalle mani dei bambini ai quali rimangono tanti altri film da guardare.
  Alle 2:50 PM Blogger atti ha fatto una pausa per dire:
Il tuo post mi ha ispirato e illuminato.. l'ho messo tra i preferiti. Poi ho rivisto il film e fatto più attenzione ad altre cosette..
poi ho scritto questo:
http://piccoloverdeelfo.wordpress.com/2008/02/06/ratatouille-non-e-un-gioco-per-bambini/

pensavo di aprire una rubrica di "cinema critico" e analizzare altri film un po' allo stesso modo. Su internet non ho trovato assolutamente nulla..
ciao!!
Attilio