mercoledì 26 dicembre 2007

Intermezzo natalizio

E così dovete sapere che ai miei genitori abbiamo regalato un lettore DVD. L'idea l'ha avuta mio fratello. Un giorno mi chiama, me la propone, e bon, si fa. E' davvero un'idea geniale, mi sono detta quel giorno, a me non sarebbe mai venuta in mente. Ci passo talmente poco tempo a casa che non mi ero accorta che ai miei mancasse il lettore DVD. E questo perché i miei non ne hanno mai parlato, o nemmeno fatto notare che lo avrebbero voluto, o anche solo preso la macchina per andarselo a comprare in un centro commerciale.
Ma insomma, ora ce l'hanno e credo proprio che lo useranno.
E quindi oggi è successo che mi sono vista un film in DVD col nuovo lettore DVD. Il film l'ho comperato io. Ho pensato che col solo lettore DVD i miei genitori non ci avrebbero fatto granché, a parte piazzarci sopra un centrino col soprammobile, ma mia mamma non è tipo da centrini col soprammobile e mio padre ha solo l'hobby del rugby e pertanto ne ho concluso che non avrebbero saputo decisamente che farsene del solo lettore DVD. E così sono andata alla FNAC e ho comprato questo film, l'ho incartato io perché i pacchetti della FNAC non mi piacciono e poi perché io adoro fare i riccoli col nastro, e a Natale i miei lo hanno scartato. E' rimasto sulla credenza sino ad oggi.
Oggi dormivano tutti e io non sapevo che fare. Ho preso il film e me lo sono vista da sola, sul divano. Ho pensato che tanto nessuno si sarebbe offeso.
Si trattava di una commediola, per così dire, leggera. In realtà io non amo le commediole leggere, però l'ho comprato lo stesso pensando che fosse un genere in grado di accontentare tutta la famiglia. Questo nell'ipotesi di vederlo assieme alla famiglia, certo. Invece l'ho visto da sola. E a mio favore c'e da dire che mentre mi trovavo di fronte all'espositore di DVD della FNAC, mi sono ricordata di aver visto il trailer di questo film. Ed ero sicura che il trailer puntasse molto sulle scene comiche del film. Anzi, tutto il trailer era una serie di situazioni ridicole con lei nuda che passaggia per casa e lui fa l'indifferente e lei che esce con un nuovo ragazzo e lui che se lo fa amico e tutta roba così. Robetta.
Beh, ora che l'ho visto posso dire che era tutt'altro che una commediola leggera. Non fraintendetemi, ma posso dire che si è trattato di un film pesante, di quella pesantezza che dapprima ti sembra leggerezza, nel mentre che lo guardi e ridi come un beota, ma che poi, quando scorrono i titoli di coda, ti si rivela come insostenibile leggerezza ovvero terribile pesantezza, che può arrivare a morderti alle caviglie quando ti alzi per prendere da bere.
Insomma il fatto è che ora sono triste e continuo a ripensare a quel film. Un film che a dire il vero lascia un finale aperto, ma io so già che finirà male. Finiranno male anche le scene non girate. Perché se avesse dovuto finire bene gli sceneggiatori non avrebbero perso occasione per farmelo sapere durante il film. E invece stranamente hanno lasciato il finale aperto e io ne deduco che è finita male e che i due alla fine non si sono rimessi insieme, neanche dopo tantissimissimo tempo e qualche uscita insieme per bere un caffè e chiarire la loro situazione.
Ma anche se sono triste penso che questo film e chi l'ha scritto siano degni di lode, per il solo fatto che hanno scritto un film che non rinuncia alla propria morale, ovvero che nella vita certe storie finiscano male, e per il solo fatto che hanno scritto un film che non ci tiene per nulla a dare il contentino del lieto fine a chi come me si spaparanza sul divano il giorno di Santo Stefano con l'intenzione di vedersi un filmetto poco impegnativo per digerire il pandoro e mettere in funzione il nuovo lettore DVD che altrimente servirebbe solo per appoggiargi il centrino con la porcellana di Capodimonte.
Che poi mia mamma le odia, le porcellane di Capodimonte.

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lunedì 17 dicembre 2007

Buonasssera a tutti

Condurre una serata di cori natalizi nella ridente Valpolicella ha il suo perché.

Prima di iniziare, essere subissati da richieste di cambio programma da parte dei rappresentanti dei vari cori: son cambiate le canzoni, ecco il foglio, e mi raccomando di dire anche questo, e capire che ti toccherà andare a braccio.
Salire sul palco di fronte a una platea di vecchietti, bambinetti, suore, parroci e giovani di belle speranze della nostra provincia veronese. Di fronte a tale platea, sentire la tentazione di tirar fuori la cadenza greve della bassa, per accordarsi allo spirito locale e vincere la diffidenza del pubblico.

Provare un gran gusto a pronunciare frasi del tipo "buon divertimento", "seguirà rinfresco", "grazie di essere intervenuti", "prego l'assessore alla cultura di raggiungermi sul palco". Trovarsi di fronte a personaggi di spicco dell'entourage concertistico veronese. Tra essi notare soprattutto la coppia di gemelle attempate, armate di tacco 12, camicetta tutta pizzi e spacco inguinale sulle gambe che un tempo erano belle, con papà al seguito che dirige il coro e che prima dell'attacco si avvicina barcollando a una delle due e la ammonisce dicendo: "sonela un tono soto, séto? e alsa il volume che non se sente 'ente!". Si papà, g'ho za fato tuto.

Apprezzare momenti indimenticabili come l'assopimento dei tuoi amici seduti in prima fila, che attendono il termine delle lagne natalizie per portarti a bere: in fila, uno manda SMS, quell'altra ridacchia, e l'altra ancora sprofonda nel proprio piumino piegato a mo' di guanciale dietro la testa lasciandosi andare al sonno profondo sulle note di "bianco natale", in stile Babbo Bastardo.

Pensare spesso ai film di Verdone che ripropongono situazioni analoghe, soprattutto quando ti accorgi che nel programma manca il nome del violoncellista, ti avvicini a lui e glielo chiedi e lui biascica un qualcosa di incomprensibile per ben due volte, e tu risolvi di dire qualcosa di raccappricciante del tipo "vabè, non ho capito il cognome ma c'è anche Gaetano". E porca miseria non ho capito un cazzo!

Tagliare corto sulle descrizioni delle canzoni che sti diavoli ti hanno consegnato, perché è inutile pronunciare frasi del tipo "il bambino giace nella culla tremante e la madre il cui sguardo lo contempla carezzandolo lievemente è china su di lui, madre e figlio in un unico afflato amoroso", che son già le 11 la gente ha fame e non ne può più.

Consegnare i premi, sentire l'assessore che dice "grazie di averci regalato momenti di professionalità", e vabbè andare in camerino a togliersi le scarpe che ormai i piedi gridano vendetta.

Prima di levare le tende, accogliere i complimenti della signora impellicciata che sì, ti dice, brava sei stata brava, però mia figlia, che era la direttrice del terzo coro, l'hai chiamata "Maestra", e invece è laureata!

Rabbrividire.

Sito de San Piero, ti?
Te sì stà brava, profesionale e tuto...
Però la me fiola te l'è ciamà maestra, e invese l'è laureà, sèto?
Eto sentìo come che la dirige il coro? No se mica roba che se improvisa, quela! La g'ha studià!
E no, parché mi a la me fiola ghe lo digo sempre: "Tirali fora sti titoli di studio, che te ghei iè! Vuto lassarli tacàti a la parete e basta? Dilo in giro, che te sì laureà in musicologia!"
...
Digo ben?
Ma la me fiola non lo dise mìa, séto parché?
...
Parché l'è umile!

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domenica 16 dicembre 2007

Tutta roba buona

Anche quest'anno, l'appuntamento natalizio da non perdere è l'iniziativa ideata da Squonk cinque anni or sono e denominata Post sotto l'albero. Una raccolta di racconti, immagini, suggestioni dalla Blogosfera avente per tema il Natale. Un regalo simpatico, prestigioso e a costo zero.
Ringrazio Squonk per avermi inserito nonostante io sia arrivata in zona cesarini col mio umile contributo.
Potete scaricare il pdf dei Post sotto l'Albero qui (occhio che sono due mega e passa).
Il mio raccontino lo trovate facilmente.
E' l'ultimo.
Buona lettura.
P.S. per inciso, questo era il mio trecentesimo post.

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giovedì 13 dicembre 2007

LaTengi24Ore

Ho fatto fatto i ritaglini del Sole24Ore di ieri, mercoledì 12 Dicembre 2007.
E adesso me li incornicio.

Pezzi d'Ufficio sul Sole24Ore

Grazie a Domi che per puro caso si è comprato il giornale.

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mercoledì 12 dicembre 2007

Contenuto innaturale

Avvertenze: questo è un pezzo scorretto. Se non vi va non leggete. Non si accettano lamentele.

E così io e la mia "amichetta" siamo arrivati fino a qua. Era tanto tempo che ci frullava per la testa quest'idea. Io ci ho messo un bel po' a prepararmi. Lei no, invece.
Io non sono di qui. E stasera mollami che mi voglio divertire!
Alla cassa ci hanno consegnato un biglietto con la scritta "Gratta e schecca". In palio bellissimi premi, vedi se hai vinto quando la vocalist cicciona dirà la sequenza di colori vincente! Mi raccomando stai all'occhio, tesoro...
Ma che fai ti scandalizzi? A proposito, dimmi se secondo te io schecco tanto. Dimmi come sono visto da fuori, dai. Mi si è attaccata una ciunga alla suola della scarpa. Ma hai visto quello? Avrà diciassette anni e una grazia da Ingrid Bergman. Quello che si è voltato ora.
Che arte: prima le spalle poi la testa, e un tin tin coi braccialettini. Ci ha pure guardato male.
Mille mani svolazzanti. E tutte ste bocche aperte a mostrar gengive. Uh, tesorooo, è inutile che ti sganasci tanto, lo so che sei brava. Chiudi quella bocca orrenda che mi pare un buco nero e mi fa anche un pochino senso. Bella, vai a caccia di mosche? Ma dico, l'hai vista? Bella mia, sei ridicola!
Un omone in taffetà.
Quellà là, vedi, crede di essere notata di più se sta a fare da tappezzeria mentre ciuciacchia la bibitina dalla cannuccina. Mi devo assolutamente far passare questo filo di mal di testa. I ballerini sul cubo, bella mia, ti rendi conto? I ballerini qui non sono quei palloni gonfiati che si vedono in giro. Sempre meglio definito che grosso, sempre, ricorda. E poi sono tutti affascinanti che te li raccomando. Quello brizzolato avrà quarant'anni ed è un bonazzo che ciao. A Milano sono avanti. Hanno anche il ballerino brizzolato. Sto gran fisico e sto gran paccone. Peli no, peli zero, peli mai! E guarda che quello lì domattina si mette la cravatta e va in ufficio, bella, cosa ti credi.
Quello balla come una vecchia tarantolata. Tu invece sei davvero prestigiosa.
E smettila di guardarmi, non sono mica una sfranta. Solo perché guardo tutti mica vuol dire che ho voglia. E' che mi sento di ballare. E poi qui a Milano sono tutti belli, cara mia. Ci sono mica quei cessi delle disco gay dove vado di solito. Qui son boni. Tutti boni. Boni di tutti i tipi. C'è il giovane bono, il vecchio bono, il nerd bono, il poeta bono, e il bono bono.
Sei la top.
Il ballo del biscione fa subito festa. E pure lo struscio. E due fette di pane attaccate fanno sempre sandwitch, da queste parti, bella mia!
Per quanto, io te lo dico, quello è ridicolo. Bella mia, certa gente non dovrebbe nemmeno presentarsi. Ma con che faccia balli, voglio dire. Bevo un'altra cosa che questo schifo qua non mi ha soddisfatto granché.
Sei troppo moderna.
Poi vado a pisciare che i cessi di sicuro son puliti. Se vuoi vai anche tu che io ti aspetto. Però, bella mia, cerca di arraffare la carta igienica che è rimasta, che lo sai come sono tutte queste checche, stanno sempre nel cesso delle donne a detergersi il sudore. Hanno le scalmane. Son tutte delle mestruate che ciao. C'e n'era una, isterica che non te lo sto a dire, che sgomitava come un'ossessa. Ma ti pare? Co' sto labbrino imbronciato e lo sguardo perso.
Che sfranta, davvero.
Sta musica ci sta dentro di brutto. Mi sa che mi sono innamorato. C'è uno là coi mocassini e l'aria assorta. Tipologia filosofo. No che non vado a rompergli le palle, sei pazza? Ho la tigna stasera.
Che tignarogna.
Cioè alla fine il bello di questi posti è che puoi comunque sentirti te stesso. Nelle disco normali ci sono quegli eteroni cattivi cattivi che ti guardano male. Qui invece è tutto più solare. Chiaro, anche noi siamo cattive quando vogliamo. Una volta ho beccato due passivone rognose fuori da un locale che litigavano. Si erano buttate una addosso all'altra e si graffiavano. Miravano agli occhi, ste gatte. E gli amici intorno che cercavano di dividerle. Sembravano degli struzzi scarmigliati, col culo all'infuori e la testa all'indietro per evitare le botte, e intanto gracchiavano: "bastaaaa, smettetelaaaa".
Che scena, bella mia, come me la sono gustata.
Un vaudeville di frocie.

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domenica 9 dicembre 2007

Mille anni che sto qui

Quella volta che sono tornata da Parigi ho portato con me la sensazione della moquette della casa dove stavo. La sua morbidezza, la sua cedevolezza. E una volta tornata a casa, per un giorno intero o forse più, mi sembrava ancora di camminare su un tappeto, e invece era il pavimento duro di casa mia.
La volta che sono tornata dalla montagna ho portato con me quella sensazione di confortante tepore, quel calore familiare di quando fuori fa freddo e neviga ghiacciato. E per un paio di giorni o poco più, mi sembrava ancora di stare in una baita di legno, e invece a racchiudere i miei pensieri erano i muri di casa mia.
Ogni singola volta che torno a casa dopo essere stata dai miei amici, porto con me il mare d'inverno e i pomeriggi tutti insieme su un divano. Le partite a Risiko e i mangiarini pomeridiani. E una volta tornata a casa, per una settimana e anche di più, mi sento in compagnia e giro scalza per casa e pasticcio con le merendine sul divano mentre guardo vecchi film.
Questa volta che sono tornata dalla Sicilia, ho portato con me le palme e la diffidenza negli sguardi della gente. Ho portato con me una passeggiata sul molo caldo, i gatti sonnacchiosi che fanno la guardia alle cassette di esche dei pescatori. I ragazzi sui motorini dopo la scuola. Ho portato con me i pranzi premurosi di un'amica e questa sera la cena a casa mia è stata preparata con una cura che non si vedeva da tempo. Ho portato con me le parole e i racconti e le persone. Ho portato la musica e il teatro. Ho portato con me i complimenti sottovoce, e forse per qualche giorno ancora porterò con me la sensazione di passeggiare sul lungomare, e mi vedrò per quello che sono, una donna. Ho portato con me l'illusione di non avere un computer su cui scrivere, di non avere un videoregistratore, di leggere un libro prima di addormentarmi. E nei prossimi giorni porterò con me un modo di vivere diverso, rigoroso, porterò con me la dedizione un mestiere fatto con passione. L'eterna domanda di che cosa sia arte e che cosa no.
E ora che sono tornata, per una notte almeno, scrivo qui come fosse solo carta e solo mia, senza curarmi troppo della forma, perché voglio finire presto, perché non vedo l'ora di leggere un nuovo libro.

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martedì 4 dicembre 2007

Tempus fugit

Come diceva un amico, in ufficio il tempo non scorre sempre allo stesso modo. In ufficio il tempo ha il respiro incostante dei picchi di furia ed inerzia che lo contraddistinguono. Si sposta in avanti a forza di contrazioni e distensioni, come un verme, come un bego di fosso. Se potesse camminare dunque striscerebbe. E se avesse voce emetterebbe lo sfiato prodotto dal mantice di una fisarmonica.
Ci sono giorni in cui le giornate sono vuote, costellate di poche parole e piccoli gesti da compiere metodicamente. Il tempo non passa mai. Non serve la chat, non serve internet, non serve bere un caffè, non serve fumare una sigaretta. Lui sarà sempre capace di tenere da parte per te un'ora intera di noia pura. Sessanta minuti e poi altri sessanta e poi se dio vuole si esce da qui.
Ci sono giorni invece in cui il tempo non basta mai. Le ore vorticano come fossero minuti, i secondi sfuggono di mano verso lo scarico che se li porta via, divorati dalla frenesia, fagocitati dalle riunioni, dalle telfonate, dalla compilazione di mail estenuanti. E così il tempo scivola via sotto le nostre dita agili. E quando si esce dall'ufficio è come scendere da un tapis roulant. Il primo passo fuori da qui ti incolla nuovamente a terra, in una dimensione spazio-tempo che sorprende e fiacca come fosse un rallenty, una moviola, e che invece è solo la vita vera.
Il tempo in ufficio è un bego di fosso. A guardarne il movimento, si potrebbe restare affascinati. Pare impossibile che riesca a percorrere delle distanze. Eppure. Se ti distrai un attimo a guardarti intorno, scappa via che manco te ne accorgi.

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Il genio della lampada (da tavolo)

Il post di ieri diceva poco e sottintendeva molto. Era fatto di ricordi e nella mia testa i ricordi si son fatti riflessioni, bilanci, proiezioni future e speranze. A qualcuno è sembrato che stessi per chiudere del tutto col blog. Insomma, a dirvela tutta l'atmosfera rischiava di diventare pesante.
Ma tra le rovine di un post a groviera, ecco che arriva un commento di Dario di Humanitech . Una sua segnalazione* su Job Talk del Sole24Ore.
Leggo, spulcio e scopro che Dario ha scritto parecchi libri. Uno di questi è qui nella mia libreria. E chi lo sapeva. Che storia.
Tra blog di servizio, blog superorganizzati, blog sempre sul pezzo d'attualità, leggo che Pezzi fa parte di " un angolo del web minore, dove la discussione si anima o diventa addirittura narrazione. [...] Sono dei geni."
Addirittura. Ma chi, io?

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domenica 2 dicembre 2007

Meme-nto

Ricordo di aver partecipato ad una sola catena, finora. Era una sciocchezza, meglio sorvolare. Ricordo che col senno di poi mi ripromisi di non raccoglierne più nessuna.
Stasera ho deciso di raccoglierne un'altra. Perchè mica si può essere sempre così rigorosi da dire "non lo farò mai più" e poi non farlo mai più, davvero.
In principio eravamo in due a scrivere su Pezzi. Zero commenti e tanta buona volontà. Ben presto però il mio compagno iniziò a disinteressarsi di queste pagine. E così un bel giorno mi disse: "Tengi, questo figlio lo abbiamo concepito in due, ma lo hai cresciuto tu. E' giusto che rimanga a te." A dire il vero, ricordo che disse tutto ciò dopo che io gli ebbi mangiato la faccia perché aveva osato postare una foto che era così e cosà e insomma non in linea con l'idea che io avevo di questo blog. Probabilmente mi prese per pazza. Ricordo che io me ne fregai e continuai a postare imperterrita. Qui c'è la storia di come andò, raccontata proprio da lui, un venerdì pomeriggio in cui ricordo che diedi una festa qui, sul blog.
Ricordo che non mi sono mai vergognata delle cose che ho scritto. Credo però che mi vergognerei come una ladra se ad esempio le leggesse mia madre.
Non credo di aver scritto sempre e solo per me stessa, perché ricordo bene alcuni destinatari immaginari dei miei post. Alcuni di loro se ne ricordano, alcuni no, alcuni fanno finta di no, altri fanno finta di si. Chi se ne importa. In fondo in fondo, si scrive sempre e solo per sé stessi.
Non ricordo altro, se non qualche notte a scrivere, qualche mail di lettori. Ricordo molte conversazioni intorno a questo blog, questo sì. Idee, consigli, scelte. Neanche fosse una rivista vera. Neanche mi avessero pagato.
Ricordo una via del centro da dove ho iniziato a scrivere. Ricordo un muro e un piccolo mondo. Ricordo l'ansia di postare sempre qualcosa di nuovo. Andare a vedere i commenti. Quanti e da chi. Rispondere. Ricordo i nomi di alcuni che sono passati di qui.
A ben pensarci, ricordare tutto ciò mi ricorda molte cose di come ho vissuto. Il blog in fondo è un datario delle emozioni per chi, come me, ha la memoria corta.
E chissà che un giorno, dopo che lo avrò dimenticato, non mi ricorderò di nuovo di questo blog scrivendo parole nuove.

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