Slow networking
Ieri, con questi interrogativi in tasca, ho preso il treno per tornare a Milano.
Ho assimilato la devastante notizia con spirito zen, continuando ad ascoltare musica. Poco dopo, le batterie dell'mp3 hanno ceduto. Ho comiciato a scrivere messaggi. Quindi è partito anche il cellulare. Ho letto due righe e mi si incrociavano gli occhi. Dopo soli venti minuti già non sapevo più che fare. E così, mi sono ricordata della GGD. Mi sono girata verso destra, e ho attaccato bottone con il vicino, concedendomi almeno venti minuti prima del cambio, ché tanto a Romano ci dovevo stare due ore. Il tipo era straniero. Ho sfoderato il mio inglese scolastico di epoca elisabettiana e gli ho chiesto di lui. Si chiavama qualcosa che non ho capito, veniva dall'Australia. Ha girato mezzo mondo con la moglie, che sedeva di fronte a lui, e ci scommetto che un simile casino ferroviario solo da noi l'ha beccato. Mi ha parlato di squali e di natura. L'altoparlante ci ha interrotti per comunicarci che avrebbero attaccato un locomotore al sedere del treno per farci rinculare fino a Bergamo e da lì prendere la Via delle Spezie per arrivare a milano. Non sapevo come spiegarglielo, all'australiano, perché non sapevo come si diceva locomotore, e il senso del piano B di Trenitalia stava tutto lì. Mi sono fatta capire lo stesso (credo di avergli fatto ciuf ciuf), tanto che alla fine ha detto "engine". Cazzo, engine vuol dire un sacco di altre cose, oltre che locomotore. L'inglese di oggi fa girare sempre le solite quattro parole, era meglio quello di epoca elisabettiana. Mi sono voltata alla mia sinistra e ho iniziato a fare network con Roberto, che a luglio si sposa e voleva andare in Australia in viaggio di nozze, ma non ce la faceva coi soldi e così va da un'altra parte. Poi ho parlato con la moglie dell'australiano, che aveva addosso tanta di quella chincaglieria che neanche la Madonna degli Ori. A un certo punto lei si è tolta una scarpa e ho avuto paura, perché potete immaginarvi l'aria fetente che c'era un quel treno affollato, e voglio dire, non avevamo certo bisogno di rinforzi. Dalla scarpa è uscito un calzettone verde marcio tutto costellato di pallini di lanetta urfida. Questa ci ammazza, ho pensato. E invece no, nessun odore. Ma quando si è poggiata la scarpa sulla gamba, vicino al libro che stava leggendo, che anche se era un bestseller di quarta categoria era pur sempre un libro, allora sì, mi ha fatto un po' schifo. Allora sono scesa dal treno e nella sala d'aspetto della stazione ho aiutato un tizio che armeggiava col distributore di caffè; un tizio che forse era sordo, perchè ho provato in italiano inglese e francese ("ça ne marche pas!") ma lui non rispondeva, e così ho fatto network a gesti: ho allargato le braccia per significare Che ci vuoi fare, poi ho fatto un gesto ampio verso l'esterno per dire Tanto siamo tutti nella stessa barca e poi ho sorriso e gli ho detto Ciao a presto scandendo stupidamente le sillabe. Poi sono salita sul treno e via di nuovo con gli australiani, che nel frattempo si erano comprati una sleppa di pizza.
Dopo tre ore il treno è ripartito e dopo mezz'ora è giunto a Milano. Molte delle persone con cui ho parlato non le ho nemmeno salutate. Alcuni dormivano, altri erano scomparsi. Sono scesa in fretta, pensando al taxi che dovevo prendere, a casa mia e al mio lettino. Ho visto molte persone sfilare via lungo la banchina, ognuno maledicendo in cuor suo lo stronzo che ha avuto la bella idea di buttarsi sotto un treno, di domenica. Poco a poco, sono spariti tutti.
La rete nel nostro caso è stato un mezzo per passare il tempo. Per qualche istante eravamo uniti nel pensiero che che le ferrovie fanno schifo e che siamo stati proprio sfigati. E di quelle due ore in cui io e gli altri siamo stati insieme, siamo stati noi, è svanita a poco a poco la traccia. I rapporti che abbiamo allacciato si sono sciolti come zucchero nel caffè. E' stato solo un caso, una coincidenza, quella che ha fatto sì che spontaneamente ci parlassimo. E ora, dell'immenso potenziale umano di cui ho solo percepito l'ombra, quanta parte è rimasta? Quanta parte si è sedimentata sul fondo della tazzina? Avrebbe avuto senso raccoglierla? Non lo so. Anche volendo, non è possibile avere esperienza e serbare tutto il potenziale che c'è. Non è possibile tenere tutto e tutti quanti nel palm(are) della nostra mano.
E' anche vero però che di quello zucchero che si scioglie rimane comunque un lieve sapore in bocca. Il ricordo. E di piccolo un ricordo se ne possono fare altri cento, in quella che è davvero una rete, quella sì. Emozionale. Altre cento persone di una persona, altre cento storie di una storia, ogni volta che la raccontiamo, per come la raccontiamo, per come gli altri la ascoltano.
E anche di questa storia, magari, per come ve la sto raccontando io ora. Anche se solo per cinque minuti vi siete girati da questa parte. Anche se tra poco sparirò, anche se non sapete nemmeno chi sono.
Etichette: Ufficio Tengi
10 Commenti:
complimenti, a te che hai saputo imparare qualcosa di così importante da una cena, e che ce l'hai raccontato con tale profondità.
è rimasto un buon sapore. :-)
così lontani da milano...
orrore!!! :-D
ge
Alla prossima GGD ci vediamo, allora, oppure al prossimo incontro, di qualsiasi genere, che permetta di fermarci per un po'. Già bisogna correre tutti giorni per lavoro, magari nei momenti di svago possiamo rallentare!
oddio questo ggd... ricorda tanto le imbarazzanti "chat-cene"fine anni 90 ;)
Cara Tengee lei ne sa una più del mago Forrest.
http://it.youtube.com/watch?v=BM5Fhazexwo
l'ultima illusione non è svanita io libero per sempre
Farò di tutto per esserci alla prossima GGD...
(Concittadina, che ha cambiato blog e nick!)