lunedì 17 dicembre 2007

Buonasssera a tutti

Condurre una serata di cori natalizi nella ridente Valpolicella ha il suo perché.

Prima di iniziare, essere subissati da richieste di cambio programma da parte dei rappresentanti dei vari cori: son cambiate le canzoni, ecco il foglio, e mi raccomando di dire anche questo, e capire che ti toccherà andare a braccio.
Salire sul palco di fronte a una platea di vecchietti, bambinetti, suore, parroci e giovani di belle speranze della nostra provincia veronese. Di fronte a tale platea, sentire la tentazione di tirar fuori la cadenza greve della bassa, per accordarsi allo spirito locale e vincere la diffidenza del pubblico.

Provare un gran gusto a pronunciare frasi del tipo "buon divertimento", "seguirà rinfresco", "grazie di essere intervenuti", "prego l'assessore alla cultura di raggiungermi sul palco". Trovarsi di fronte a personaggi di spicco dell'entourage concertistico veronese. Tra essi notare soprattutto la coppia di gemelle attempate, armate di tacco 12, camicetta tutta pizzi e spacco inguinale sulle gambe che un tempo erano belle, con papà al seguito che dirige il coro e che prima dell'attacco si avvicina barcollando a una delle due e la ammonisce dicendo: "sonela un tono soto, séto? e alsa il volume che non se sente 'ente!". Si papà, g'ho za fato tuto.

Apprezzare momenti indimenticabili come l'assopimento dei tuoi amici seduti in prima fila, che attendono il termine delle lagne natalizie per portarti a bere: in fila, uno manda SMS, quell'altra ridacchia, e l'altra ancora sprofonda nel proprio piumino piegato a mo' di guanciale dietro la testa lasciandosi andare al sonno profondo sulle note di "bianco natale", in stile Babbo Bastardo.

Pensare spesso ai film di Verdone che ripropongono situazioni analoghe, soprattutto quando ti accorgi che nel programma manca il nome del violoncellista, ti avvicini a lui e glielo chiedi e lui biascica un qualcosa di incomprensibile per ben due volte, e tu risolvi di dire qualcosa di raccappricciante del tipo "vabè, non ho capito il cognome ma c'è anche Gaetano". E porca miseria non ho capito un cazzo!

Tagliare corto sulle descrizioni delle canzoni che sti diavoli ti hanno consegnato, perché è inutile pronunciare frasi del tipo "il bambino giace nella culla tremante e la madre il cui sguardo lo contempla carezzandolo lievemente è china su di lui, madre e figlio in un unico afflato amoroso", che son già le 11 la gente ha fame e non ne può più.

Consegnare i premi, sentire l'assessore che dice "grazie di averci regalato momenti di professionalità", e vabbè andare in camerino a togliersi le scarpe che ormai i piedi gridano vendetta.

Prima di levare le tende, accogliere i complimenti della signora impellicciata che sì, ti dice, brava sei stata brava, però mia figlia, che era la direttrice del terzo coro, l'hai chiamata "Maestra", e invece è laureata!

Rabbrividire.

Sito de San Piero, ti?
Te sì stà brava, profesionale e tuto...
Però la me fiola te l'è ciamà maestra, e invese l'è laureà, sèto?
Eto sentìo come che la dirige il coro? No se mica roba che se improvisa, quela! La g'ha studià!
E no, parché mi a la me fiola ghe lo digo sempre: "Tirali fora sti titoli di studio, che te ghei iè! Vuto lassarli tacàti a la parete e basta? Dilo in giro, che te sì laureà in musicologia!"
...
Digo ben?
Ma la me fiola non lo dise mìa, séto parché?
...
Parché l'è umile!

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giovedì 8 novembre 2007

Le faremo sapere (di nuovo)

Vedere il nuovo manifesto dello Zio Sam coll'indice puntato che recita:
Presentati là, che stanno cercando una ragazza fatta così e cosà per una cosa che se te lo dico non ci puoi non penzà! Preparati un pezzo e dove ti porta il cuore và! Fai un po' quel che vuoi, secondo tua sensibilità, non ci sono preferenze, diciamo uno triste e uno allegro pé cantà!
(Triste. Non si dice triste di un pezzo. Semmai drammatico. A meno che non lo si fa da cani, allora sì, in quel caso è triste.)
Ma comunque, armarsi di buona volontà e prendere il treno. Arrivare in stazione. Camminare camminare. Perdersi. Ah, no, ritrovarsi.
Arrivare sul luogo dell'appuntamento. Riconoscere che è il posto giusto dal fatto che ci sono due tizie che aspettano fuori in abito da sera, nero, lungo. Le due in lungo fumano per stemperare la tensione. Tengono in mano una bottiglietta a testa, per sciacquare l'ugola dopo aver fumato. Scommettere la testa che hanno anche una dose di propoli nascosta nella borsa. Vederle sicure ed eleganti nelle loro mise da gran gala nel primo pomeriggio assolato.
E guardarsi in una vetrina e riconoscersi come una appena scappata di casa. Jeans e scarpe da tennis, sudata. Attendere fuori e attaccarsi al telefono per ingannare l'attesa. Decidersi a entrare dopo dieci minuti. Più nessuno. Udire una voce alle mie spalle che dice "Desidera?". "Venghino le frutta!!!" sentirsi di rispondere, ché ci si è già calati nella parte.
Vedere poco dopo sopraggiunge la regista che saluta con un vocione profondo e catarroso: "vieni che ci sediamo". Sentirsi chiedere un po' di cose in una stanzetta illuminata da luce al neon. Dove abiti. Che fai. Come ti chiami. Con lei che dopo ciascuna domanda fissa per una manciata di secondi. Capire alla quinta domanda che lo fa perchè si aspetta di sentir parlare, e molto. Ma rendersi conto che è difficile attaccarsi a domande anagrafiche per parlare di sé ed estendere il discorso a progetti, ambizioni, personalità, carisma, carattere. Iniziare a sudare.
Eppure farlo, nonostante tutto. Parlare degli ultimi spettacoli e della visione del teatro contemporaneo e di cosa esso significhi, delle compagnie viste/sentite e della concezione personale del lavorare insieme. Pensare ehi vado alla grande. Pensare ehi sono ad alto rischio di noia. Buttar lì qualche miseranda battutina. La settimana è stata dura per tutti.
E finalmente andare in teatro. Finalmente. Il silenzio e il buio e la polvere e nient'altro.
Fare il pezzo preparato. Terminarlo. "Ora prendi questo e leggi". Ricevere in mano un dialogo. A occhio e croce, Shakespeare. Parla di un certo Enrico. L'Enrico IV, o forse l'Enrico VII. Rendersi conto che la memoria vacilla. Leggere meglio il testo alla ricerca di indizi filologici. Un certo Enrico che è stato ucciso, la sua inconsolabile vedova piange e inveisce contro l'assassino del marito. Eh, sai che novità. Sperare di non dove partecipare a un quiz a sorpresa sul titolo. Rabbrividire.
"Dàgli un'occhiata mentre io chiamo la spalla".
Veder arrivare un tipetto tutto impettito con il colletto della camicia abbottonato fino all'ultimo bottone, che cammina a gambe strette e in mano tiene il copione. Dire "ciao" e sentirsi rispondere "buonasera, buonasera". Restare di stucco di fronte a tanta deferenza. Figurarsi che possa essere il primo attore della compagnia. Sbalordire. Mmm, diffidare un pochetto.
Far partire lui per primo: "O signora, la vostra bellezza è pari solo alla vostra crudeltà". Stupire di fronte a The School of the Art of the Lollis. Osservare meglio il soggetto: forse dal pantalone spunta ancora un pezzo di calzamaglia nera.
Arrivare in fondo alla scena e posare i copioni. Ritenere di essere stati abbastanza bravi. Essere consapevoli che ciò significa che si è fatto abbastanza schifo.
Scendere dal palco e sentirsi porre dalla la regista la solita domanda di rito: "sei impegnata nei prossimi mesi?"
Aver voglia di rispondere.
Io? Certo che no. Non faccio nulla. Sto a casa ad aspettare che mi chiami tu. E nel frattempo mi cibo delle radici che crescono spontanee sul ciglio dei fossati e dormo in quella pittoresca cascina diroccata fuori città.
Abbassare il capo.
"No, non sono impegnata".
Fine primo atto.
A bere al bar.
Tentar di recuperare un po' di dignità.
Ripercorrere la scorsa puntata del "le faremo sapere" come un film.
Bravi gli attori, peccato la sceneggiatura che non li valorizza.

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giovedì 20 settembre 2007

Le faremo sapere

Per rinfrancar lo spirito tra un lavoro e l'altro è consigliabile trascorrere una pausa pranzo diversa dal solito.
Ufficio Casting. Andare in fondo a destra.
Bello ambiente. Bello ordinato. Belle sedie. Begli spazi. Bello tutto e silenzioso.
Trovare tre persone in attesa. Constatare che non ci vorrà molto.
Compilare modulino, prego. Sesso Età Altezza Taglia abito Numero scarpe. Ultime esperienze. Topless? Si No. Intimo? Si No.
Ecco qui, compilato. Si grazie prego molto gentile grazie a lei. Attendere seduta. Nel frattempo prendere uno dei copioni disponibili e leggerlo un paio di volte. Non necessario imparare a memoria: troppa grazia. Sufficiente leggere.
Copione 1: da Blade Runner la solita menata che recita ho visto cose che voi umani e i bastioni di Orione e i raggi Beta. No.
Copione 2: discorso di esortazione agli schiavi tratta da Il Gladiatore, molto macho. No.
Copione 3: La puntata di oggi di Ulisse presenta un viaggio alla scoperta di... troppo Checchi Paone. No.
Copione 4: Questa sera alle 22.30 andrà in onda... troppo Nicoletta Orsomando. No.
Copione 5: ... no.
Copione 6: Poesiola melensa ma interpretabile con un minimo di palle. Ok.
Leggere una volta. Sentirsi abbastanza preparati.
Alzare lo sguardo e vedere entrare una stangona di 18 anni, tubino nero aderente, accompagnata da figaccione che mostra di conoscere tutti là dentro. Sentire il figaccione dire alla ragazza con ostentata pomposità "vuoi che venga dentro con te?". Pensare ma non è un'ecografia, solo un casting. Non riuscire a udire la risposta di lei che biaschica qualcosa con vocina squaquerina. Vedere che si volta per prendere un copione. Inorridire per la vista di un tubino nero con spacco posteriore che si arrampica fino a metà sedere. Sotto, non fare a meno di notare dei pantaloncini. Capire che servono a non far vedere il culo, ma solo mezza chiappa, senza la volgarità delle mutande ma senza rinunciare allo spacco. Capire che è una scelta ragionata. Non capire comunque che bisogno c'è. Capire che non si è in grado di capire. Notare comunque un viso da bambina un po' impaurito. Pensare chi te lo fa fare. Rivolgere la medesima domanda a se stessi. Sentire il figaccione dire all'assistente casting "se vuole fare questo mestiere deve imparare a non essere imbarazzata". Giusto. Riconsiderare il figaccione sborone nelle vesti di maestro di vita.
Incontrare poi un'amica. Carina, preparata. Sedere mediterraneo e nessuno spacco. Fare due chiacchere.
E poi entrare. Scatoletta e microfono. Sentirsi dire Nome Cognome. Rispondere. Fare una battuta. Sentirsi dire leggi il copione e se sbagli vai pure avanti, sai, non ti preoccupare, puoi anche cambiare le parole se ti va. Pensare che questi sono abituati a trattare con bambini piccoli o con bambine grandi dalla gonna corta. E chiedersi poi con che cuore si possono cambiare le parole di una poesia. Si sta come d'autunno sugli alberi le prugne?
E quindi leggere.
Bene. Brava. Bella voce.
Avere voglia di rispondere Grazie al c.
Salve grazie (tutti molto gentili tutti molto professionali).
A buon rendere.
Le faremo sapere.
Passeggiare con amica e riprendere il discorso. Tutto bene, e tu? Io mi ricordo di te sai, quella volta che ti vidi fare quella cosa. Non ricordare più. Le cose importanti non sono mai le stesse per ciascuno di noi. Baci, ti chiamo. Scambio cellulari. Fammi sapere come ti va.

E avere rubato il copione numero 5. Arrivare a casa, aprire il foglio e leggere:

Facciamo lavori che odiamo per comprare cose che non ci servono.
Siamo i figli di mezzo della storia.
Non abbiamo la grande guerra nè la grande depressione.
La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita!
Da "Fight Club"

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