martedì 27 novembre 2007

Occhi da scrivania

c'è chi ti guarda di lato.
c'è chi ti guarda torvo.
c'è chi guarda guercio.
c'è chi guarda sbircio.
c'è chi non ti guarda.
c'è chi guarda un punto indefinito sopra il tuo orecchio.
c'è chi ti guarda da dietro un ciuffo a tendina.
c'è chi ti guarda strabico.
c'è chi ti guarda speranzoso.
c'è chi ti guarda opaco.
c'è chi ti guarda dall'alto in basso.
c'è chi ti guarda da dietro gli occhiali.
c'è chi ti guarda tutto ma mai in faccia.
c'è chi distoglie lo sguardo.
c'è chi ti guarda dritto negli occhi.
c'è chi ti guarda dritto nel monitor.
c'è chi guarda solo il monitor.
c'è chi ti guarda mentre parla al telefono.
c'è chi guarda il telefono mentre ti parla.
c'è chi guarda nel mucchio.
c'è chi guarda al bene comune.
c'è chi guarda alla propria soddisfazione.
c'è chi guarda al sodo.
c'è chi guarda al soldo.
c'è chi guarda fuori dalla finestra.
c'è chi guarda la luce.
c'è chi guarda lontano.
c'è chi guarda in prospettiva.
c'è chi si guarda indietro.
c'è chi si guarda attorno.
c'è chi si guarda addosso mentre si parla attorno.
c'è si guarda le spalle.
c'è chi guarda ovunque.
c'è chi guarda che ci sia tutto.
c'è chi guarda le firme.
c'è chi guarda le tette.
c'è chi guarda alla forma e chi alla sostanza.
c'è chi si guarda bene dal dire.
c'è chi guarda di non fare cazzate.
c'è chi ha un occhio di riguardo.
c'è chi è i tuoi occhi qui dentro.
c'è chi ti mette in guardia.
c'è chi butta un occhio.
e guarda chi c'è.

Etichette:

 
venerdì 23 novembre 2007

Un gran rebelotto

Stamattina, in metro, leggendo "Harry Potter e la Pietra Filosofale", mi è capitato di incappare nella testuale espressione:

"sto solo a dare un'occhiata"
[in italiano sarebbe: "sto solo dando un'occhiata"]
Mi è come sorto il sospetto che la traduttrice, tale Marina Astrologo, sia di Roma.

Bene.

Già la scuola di doppiaggio dell'illustre Pino Insegno ci ha abituato al cinema a sentire espressioni del tipo "mi fa andare ai pazzi", "mi fa andare ai matti", o per giunta "abbozzare".

Ora.

Se qualcuno si azzarda a dirmi che le suddette espressioni sono italiane lo inchiodo.
Tuttavia.
Vogliamo sdoganare il romano come sostituto del toscano di Lorenzo il Magnifico?
Sdoganiamolo.

Cara Marina Astrologo, io sdogano serenamente.
Voglio dire, è la cultura pop che comanda.
La cultura di chi, come te e il tuo amico Pino, parla come magna e scrive come je pare.
Ma a questo punto, perché limitarci al romano.

"Cenerentola, che travagliava tutto il giorno in cucina, il giorno in cui le sorellastre andarono al ballo decise di stracatafottersene degli ordini della matrigna. Posò la scopa, addrumò la candela, e corse a governare il fuoco che si stava astutando. Quando all'improvviso taliò verso la finestra e...'minchia!' esclamò."

"Pinocchio a scuola era un po' baucotto, e la maestra lo redarguiva sempre: 'Pinocchio, descàntati! Sei troppo distratto, sentati giù e fà pulito.' Un giorno, vardò nella scarsella e, ruma ruma, in mezzo a tutta quella ratatuia, cattò le monete di Geppetto. "diaolo bisso!", disse sorpreso."

Traduzione de la Strologa.
Doppiaggio del Bepi.

Etichette:

 
mercoledì 21 novembre 2007

Si aggiunga, la strana forma del tubetto

E noi stolti che pensavamo di aver visto già tutto.
La rivoluzione è qui e ora.
La prima pubblicità che ammette che sì, si fa. Essi lo fanno. Noi lo facciamo. Le donne, talvolta, lo fanno. Una volta ogni tanto, mica sempre, poi se ne dimenticano, sia chiaro. Però intanto lo fanno.
Italia, 2007.
Un piccolo scivoloso passo per l'uomo, un grande passo per l'umanità.
Sguissssssssss.

Aggiornamento.
Visto che non molti colgono il topic (ma è voluto), un piccolo aiutino:
Dur(a lex sed l)ex *
Più di così, faccio un disegno.
Aggiornamento stupefatto. Volevo aggiungere il link al prodotto, ma il firewall aziendale blocca il sito dell'azienda. Mi chiedo perché: non mi risulta che su quel sito ci siano immagini spinte. A meno che l'azienda non conti un gran numero di feticisti dei foglietti illustrativi. A pensarci bene quelli sì che sono arrapanti.
Aggiornamento sondaggio: si va alle urne. Tra i commenti, scatta il referendum. MajorTom fa scivolare il discorso oltre e ci chiede: che cosa preferite? Tradizionale o Wild Side of The Moon?

Etichette:

 
lunedì 19 novembre 2007

Selezione

Il Reader's Digest delle chiavi di ricerca su Google.
Titolate da Tengi.

Le piramidi di Cheope.
"Tette egiziane"

Col raggio fotonico disintegra-merda!!!
"Come neutralizzare un capo stronzo"

Ora introdurrò un sondino. Si rilassi.
"Frasi per medici senza frontiere."

Primo: non guardare l'ora col bicchiere in mano.
"Regole pausa caffè."

Utilità dell'imbottirsi la patta di calzini.
"Trucchi per nascondere la calvizie."

Chi si contenta gode.
"Oggi si mangia in ufficio."

Le ultime parole, prima di premere invio.
"Il braccio mi pizzica."

Un uomo, preferibilmente.
"Cosa mettere nell'idromassaggio."

[senza parole]
"l'abuso dell'uso del buso porta al disuso dell'uso del buso"

[def]: pleonasmo, s. m. Esempio:
"ingegneri rincoglioniti"

Oltre il danno la loffa.
"lavorare con la puzza di merda"

A C D B. Il dito più veloce? Ve lo dico subito.
"suocera masturbato mi ha"

Perfetto da indossare sopra un perizoma di miele.
"pigiamino di saliva"

E' quello che intendo io?
"Massaggi con sfogo finale"

Quer pasticciaccio brutto.
"Pipì nei collant"

Inventatene un'altra.
"Non posso indossare divise colorate per allergia."

Ma che cazzo, dici
"Ridere, ufficio."

Dichiarato lo stato di emergenza.
"enrique iglesias perde i capelli"

Etichette:

 
venerdì 16 novembre 2007

Gli aruspici

Il bello dello svegliarsi fuori tempo massimo e di prendere per un pelo l'ultima metropolitana compatibile con l'orario della navetta, è che può capitarti di fare il viaggio con l'amministrazione delegato: scrutarlo da lontano, osservare i suoi gesti, e cercare di individuare in ogni cenno involontario un segno, una manifestazione di quella volontà che ogni destino regge, una anticipazione di quelle che saranno delle magnifiche sorti e progressive dell'azienda.
Oggi, nell'ordine, ho annotato: un leggero prurito alla caviglia, subito sedato con una grattatina svogliata praticata con la penna da sopra la calzetta, un'alzata di sopracciglio, un riassestamento sul sedile di plastica, un leggero sbuffo. Lo sguardo sempre fisso al giornale.
Dico che le cose stanno così: "diretti verso un obiettivo di carta, preseguiremo imperterriti; le mezze calze se ne stiano nei loro loculi fetenti, si accontentino della solita penna per natale, e - ohibò - se proprio in ufficio ci stanno stretti e gli brucia il culo, che ci soffino sopra."

Etichette:

 

Scusi, mi dà tre panini bei cotti?

Ho appena pronunciato la frase "Puoi chiudere quella porta che così non si disperde il calore della nostra stanza?"

E un bel giorno ti rendi conto che stai invecchiando pure tu.

Etichette:

 
mercoledì 14 novembre 2007

Palpitanti emozioni

Sono stata citata da La Persona Depressa. E' arrivata anche qui, anzi di là.
La cosa che più mi dispiace è che sia accaduto proprio oggi, che in ufficio c'è casino e devo lavorare e non posso dedicarmi a questa cosa, pensarci, ponderarla, goderne, soffrirne, e ovviamente trovare cinque minuti per chiudermi in bagno e proiettare le mie insicurezze personali sull'opinione che altri hanno di me, stringendo un morbido rotolo di carta igienica tra le manine tremolanti.

Etichette:

 
domenica 11 novembre 2007

Ratatouille: non è un gioco da bambini

Alla fine l'ho visto pure io. Meglio tardi che mai.
Causa coda inimmaginabile all'ingresso del cinema (tutti a vedere "Come tu mi vuoi", dove c'è la Capotondi in versione brutta, wow), ci siamo persi il cartoon che la Pixar propone sempre all'inizio dei propri film. (a proposito, com'era?)
Ratatouille. Dettagli grafici minuziosissimi e godibilissimi, virtuosismi espressivi (i personaggi animati sono ormai meglio di tanti attori in carne ed ossa, sob), gag a chicchi gustosi qua e là. Una morale solida. Superbo. Tanto di cappello.
Ma.
Mi dicono che il film Ratatouille non piace molto ai bambini.
Ebbene, sarò una bambina, ma il film non mi ha convinto. Mi ha lasciato qualche sensazione strana.
1) Non si gioca con la fantasia. Un amico scandalizzato mi aveva anticipato che in Ratatouille avviene un micidiale paradosso per cui il mondo degli umani e quello dei topi parlanti ad un certo punto si mischiano in un modo insolito, e senza che ciò crei stupore nei personaggi del film. E in effetti così è: la separazione tra i due universi umano e animale è salvata nelle apparenze solo dal fatto che le parole che il topo scambia coi suoi simili sono udite come squittii dal ragazzo. Ma per il resto topo e ragazzo comunicano, eccome! (al che, se il topo può capire le parole del ragazzo e annuire alle sue domande, tanto vale farlo parlare, no? sennò è solo un topo muto. Anche in Madagasgar c'era il leone che si sforzava di esprimersi, però gli umani udivano solo dei terribili ruggiti e morivano di paura! Il leone mai e poi mai avrebbe potuto farsi capire dagli umani, né annuendo né in altro modo: da qui la separazione dei due mondi, da qui il contrasto senza soluzione). E vabè. Ma c'è di più. Il piccolo segreto tra i due, che tale dovrebbe rimanere (come nei rassicuranti cartoni della nostra infanzia come Creamy, in cui la ragazzina era magica e speciale proprio perché era l'unica a parlare con Posy e Mega), è ben presto condiviso con tutti gli altri cuochi del ristoranti. E qui, anziché avvenire una catastrofe termonucleare, il dramma si risolve con l'accettazione serena del fatto. Di solito non è così nei cartoni. Il fatto che la realtà si mischi con la fantasia in due modi diversi e sovrapposti (uno, gli animali comunicano davvero con il ragazzo, e in più il ragazzo non è un ragazzo speciale, perchè non è l'unico a vedere ciò che accade) rompe ben due regole della identificazione. Io, bambino, non potrò mai immaginare nei miei giochi che i topi mi capiscano, perché i topi non annuiscono mai nella realtà (posso invece immaginare che, quando io non sono con loro o appena volto le spalle, i miei giocattoli si animino per magia, come in Toy Story: questa magia è possibile, perché avviene solo quando io non la vedo). E quand'anche io, bambino, riuscissi a immaginare che un topo possa capirmi, beh, allora devo essere l'unico a poterlo fare. Se lo fanno tutti non c'è gusto! Per cui io, bambino, ti avverto: ogni gioco di fantasia ha le sue regole. Questa che mi proponi non è magia del tutto, e non è neanche del tutto realtà . E a me non mi fai mica fesso.
2) Qui solo tavola fredda. Sorpassiamo il paradosso di cui sopra e lasciamo perdere la fantasia. Il topo è dunque metafora di un essere appartenente ad una classe considerata inferiore che l'uomo scaccia con la scopa, e che però ha le sue qualità e i suoi valori ("non rubare, non rubare": quante volte lo ripetono?). E questo un adulto lo capisce e ne gode. Ma io, bambino, mi annoio. Il film è solo morale da adulti, non usa altri codici se non quello del "detto" e "spiegato". Se ci fate caso tra topo e ragazzo non si instaura un vero legame. Non ci sono lacrime, non c'è sofferenza. Non c'è affetto, non c'è amore in Ratatouille (ricordate l'ultimo sguardo di Sullivan alla bambina in Monsters&Co., quando lui la lascia nella cameretta, il cuore gonfio di affetto e tristezza insieme? ditemi chi di voi non si è commosso). In Ratatouille, la temporanea separazione tra i due protagonisti è vissuta con terrore dal ragazzo solo perchè c'è di mezzo un ristorante che rischia il fallimento! Non ci sono abbracci, nè carezze. Solo i teneri grandi occhioni di un topino che guarda implorante noi. E noi vorremmo tanto abbracciarlo e carezzarlo e stringerlo, e toccherebbe al ragazzo farlo per noi. Ma lui non lo fa! Non c'è affetto, non ci sono sentimenti. Il topo resta topo, e serve a cucinare. Il topo, a sua volta, vuole un lavoro per riscattarsi dal proprio destino di ladro. E il riscatto c'è alla fine, ma senza amore. Il topo è solo, preso nel mezzo tra una cinica famiglia di roditori e un ragazzo che pensa solo alla topa. Il ragazzo è solo, orfano di entrambi i genitori e succube di una chef donna che lo comanda a bacchetta ma di cui si innamora (scusate, ma quand'è che al ragazzo gli nasce l'amore per lei? lo vediamo cotto così, all'improvviso!). Topo e ragazzo sono due esseri soli che si aiutano a vicenda. Io, bambino, non vedo affetto, vedo solo bisogni.
3) Scusate, ma il cattivo chi è? In cucina non c'è dramma, ahimè, non c'è contrasto. Il male (lo chef nanetto che commercia burrito: buuu, il fast food!!! Ma a me, bambino, il fast food piace un casino, e poi lo chef ciccione sui cartelloni è così simpatico!!!) non è incarnato nel maligno, ma nel buffo. Quindi il male non fa paura. Il male minore, ovvero lo spauracchio (il critico Anton Ego) fa un po' paura, sì, perché sembra uno zombie, ma sappiamo che più di tanto male non può farci (voglio dire, una cattiva recensione mica uccide, no? lo sanno anche i bambini!!!) Ed è un peccato non averlo visto così cattivo, non averlo preso così sul serio, perchè il momento più tenero del fim è proprio quando vediamo l'allampanato e cadaverico critico che ritorna bambino. La mamma, le sue pappe buone. Le lacrime asciugate dopo una caduta in bicicletta.
4) Dove sta il pericolo? In cucina non c'è un vero pericolo (a parte i coltelli, che tutti maneggiano così bene). Nel film non c'è mai un vero momento di crisi. Il nostro topo non è mai in difficoltà. Solo all'inizio, con la vecchia che gli spara addosso. Ma io, bambino, so che il topo non può morire, perché è il protagonista del film e perché il film è appena iniziato. Per cui aspetto il pericolo vero. E non lo trovo, neanche quando il topo è chiuso nel baule di una macchina. Quella per me non è una situazione critica. Forse perché non riesco a capire dove sta il problema se il topo non arriva in tempo a salvare il ristorante di un ragazzo che non gli fa manco una carezzina, di tanto in tanto. Sono in venti in quella cucina, cucineranno loro una volta tanto, cavolo!
(a proposito, piuttosto che sfondare il baule con le statue del palazzo, che fa tanto vandalo, non potevano rivolgersi ad un topo-ladro della colonia esperto scassinatore di camion di derrate alimentari che avrebbe potuto usare la sua arte per il trionfo del bene???)
4) Un grillo parlante ha sempre qualcosa da dire. Le apparizioni del grande chef Gusteau al topo non funzionano. Lo chef si pone inizialmente come un grillo parlante ("non rubare, non rubare", aridaje), salvo poi dichiararsi confuso sul da farsi tanto quanto il topo. E io, bambino, mi dico: eh, no, o sei un grillo parlante, o sei un'apparizione messa lì per farmi ridere. Cosa sei? Sono una proiezione di te stesso, della tua coscienza. Eh??? Scusa, ripeto la domanda: sei un eroe tu e mi guidi nella vita o sono un eroe io e devo riscattare la tua fama??? Boh, nessuna delle due. Non capisco.
Io, bambino, non capisco come si gioca, a questo gioco qui.

Etichette:

 
giovedì 8 novembre 2007

Le faremo sapere (di nuovo)

Vedere il nuovo manifesto dello Zio Sam coll'indice puntato che recita:
Presentati là, che stanno cercando una ragazza fatta così e cosà per una cosa che se te lo dico non ci puoi non penzà! Preparati un pezzo e dove ti porta il cuore và! Fai un po' quel che vuoi, secondo tua sensibilità, non ci sono preferenze, diciamo uno triste e uno allegro pé cantà!
(Triste. Non si dice triste di un pezzo. Semmai drammatico. A meno che non lo si fa da cani, allora sì, in quel caso è triste.)
Ma comunque, armarsi di buona volontà e prendere il treno. Arrivare in stazione. Camminare camminare. Perdersi. Ah, no, ritrovarsi.
Arrivare sul luogo dell'appuntamento. Riconoscere che è il posto giusto dal fatto che ci sono due tizie che aspettano fuori in abito da sera, nero, lungo. Le due in lungo fumano per stemperare la tensione. Tengono in mano una bottiglietta a testa, per sciacquare l'ugola dopo aver fumato. Scommettere la testa che hanno anche una dose di propoli nascosta nella borsa. Vederle sicure ed eleganti nelle loro mise da gran gala nel primo pomeriggio assolato.
E guardarsi in una vetrina e riconoscersi come una appena scappata di casa. Jeans e scarpe da tennis, sudata. Attendere fuori e attaccarsi al telefono per ingannare l'attesa. Decidersi a entrare dopo dieci minuti. Più nessuno. Udire una voce alle mie spalle che dice "Desidera?". "Venghino le frutta!!!" sentirsi di rispondere, ché ci si è già calati nella parte.
Vedere poco dopo sopraggiunge la regista che saluta con un vocione profondo e catarroso: "vieni che ci sediamo". Sentirsi chiedere un po' di cose in una stanzetta illuminata da luce al neon. Dove abiti. Che fai. Come ti chiami. Con lei che dopo ciascuna domanda fissa per una manciata di secondi. Capire alla quinta domanda che lo fa perchè si aspetta di sentir parlare, e molto. Ma rendersi conto che è difficile attaccarsi a domande anagrafiche per parlare di sé ed estendere il discorso a progetti, ambizioni, personalità, carisma, carattere. Iniziare a sudare.
Eppure farlo, nonostante tutto. Parlare degli ultimi spettacoli e della visione del teatro contemporaneo e di cosa esso significhi, delle compagnie viste/sentite e della concezione personale del lavorare insieme. Pensare ehi vado alla grande. Pensare ehi sono ad alto rischio di noia. Buttar lì qualche miseranda battutina. La settimana è stata dura per tutti.
E finalmente andare in teatro. Finalmente. Il silenzio e il buio e la polvere e nient'altro.
Fare il pezzo preparato. Terminarlo. "Ora prendi questo e leggi". Ricevere in mano un dialogo. A occhio e croce, Shakespeare. Parla di un certo Enrico. L'Enrico IV, o forse l'Enrico VII. Rendersi conto che la memoria vacilla. Leggere meglio il testo alla ricerca di indizi filologici. Un certo Enrico che è stato ucciso, la sua inconsolabile vedova piange e inveisce contro l'assassino del marito. Eh, sai che novità. Sperare di non dove partecipare a un quiz a sorpresa sul titolo. Rabbrividire.
"Dàgli un'occhiata mentre io chiamo la spalla".
Veder arrivare un tipetto tutto impettito con il colletto della camicia abbottonato fino all'ultimo bottone, che cammina a gambe strette e in mano tiene il copione. Dire "ciao" e sentirsi rispondere "buonasera, buonasera". Restare di stucco di fronte a tanta deferenza. Figurarsi che possa essere il primo attore della compagnia. Sbalordire. Mmm, diffidare un pochetto.
Far partire lui per primo: "O signora, la vostra bellezza è pari solo alla vostra crudeltà". Stupire di fronte a The School of the Art of the Lollis. Osservare meglio il soggetto: forse dal pantalone spunta ancora un pezzo di calzamaglia nera.
Arrivare in fondo alla scena e posare i copioni. Ritenere di essere stati abbastanza bravi. Essere consapevoli che ciò significa che si è fatto abbastanza schifo.
Scendere dal palco e sentirsi porre dalla la regista la solita domanda di rito: "sei impegnata nei prossimi mesi?"
Aver voglia di rispondere.
Io? Certo che no. Non faccio nulla. Sto a casa ad aspettare che mi chiami tu. E nel frattempo mi cibo delle radici che crescono spontanee sul ciglio dei fossati e dormo in quella pittoresca cascina diroccata fuori città.
Abbassare il capo.
"No, non sono impegnata".
Fine primo atto.
A bere al bar.
Tentar di recuperare un po' di dignità.
Ripercorrere la scorsa puntata del "le faremo sapere" come un film.
Bravi gli attori, peccato la sceneggiatura che non li valorizza.

Etichette: ,

 
martedì 6 novembre 2007

Io n'esco

Interno d'ufficio. Mattinata d'ufficio. Clima d'ufficio. Sulle scrivanie d'ufficio, comodi portapenne d'ufficio. I PC d'ufficio, accesi da poco, mandano un tenue bagliore d'ufficio che si riflette sui visi d'ufficio. Silenzio d'ufficio.
Le signorine d'ufficio Franca e Berta sono di fronte ai loro schermi d'ufficio. Franca consulta le news sul sito di Repubblica, la testa fissa sul monitor, mentre Berta medita, il mento poggiato sul palmo della mano.

Berta: Potremmo farci un caffè.
Franca: Si, è vero, potremmo.
Berta: Andiamo.
Franca: Quante notizie, oggi. Ho bisogno di un caffè.
Berta: Ecco, potremmo scendere alla macchinetta a prenderne uno.
Franca: Io credo che mi farò un the. Ieri ho mangiato di gusto e molto. Un pasto ricco. All'ora di pranzo mi trovavo in montagna. Sono quindi andata a letto tardi e con la cena sullo stomaco. All'ora di cena non mi trovavo più in montagna. Ho dormito male stanotte. Mi sento ancora pensante. Un the è quello che ci vuole per il mio stomaco.
Berta: Non c'è ancora nessuno. Strano. Di solito arrivano tutti con la navetta delle 9 e 7 minuti. Sono le 9 e 10 minuti e non si vede anima viva. Deduco che il treno metropolitano sia deragliato. Non è nemmeno da escludere che stamane tutti siano in ritardo contemporaneamente ognuno per un motivo diverso, pur essendo il treno metropolitano assolutamente in orario.
Franca: In montagna non ho preso sole. Ho camminato si, ma non mi sono mai esposta al sole. La receptionist ha notato che sono abbronzata e mi ha chiesto se ho preso sole. Ma non ho preso sole. Ho mangiato molto, questo sì, tanto che stanotte ho avuto incubi terribili. Per questo berrò un the.
Berta. Dovremmo scendere a prendere un caffè. Se arrivano gli altri ci toccherà fare la coda. Ma per ora non c'è nessuno. Le sveglie suonano sempre tardi, di lunedì.
Franca: Più che il the, amo le tisane. Si, le tisane sono meglio. Esercitano benefici effetti sullo stomaco. Il the è un eccitante. Una tisana è quello che ci vuole per la mia pesantezza. Non ho preso sole, no, ma ho mangiato troppo. E ora credo che dovrò stare riguardata a pranzo. Non vorrei esagerare.
Berta: L'arrivo dei colleghi porta sempre scompiglio alla macchinetta del caffè. Ma oggi no. Sono le 9 e 13 e ancora nessuno. Mi chiedo che fine avranno fatto tutti. Dovremmo aspettare gli altri prima di scendere per il caffè. Non vorrei che qualcuno si offendesse se non lo aspettiamo. Inoltre se aspettiamo gli altri colleghi è più probabile che io riesca a trovare il cambio in moneta per il caffè. Ho solo una banconota da cinque euro.
Franca: Una soluzione alla pesantezza sarebbe ingerire una pastiglia. Ma non sono dell'idea. La sola idea mi eccita.
Berta: Trovarsi senza cambio e senza colleghi è un bel guaio. Per non parlare della questione di bonton che ci abbliga ad attendere i colleghi per bere tutti insieme il caffè. O almeno quelli con cui si va di solito. Ma non vorrei creare dei gruppi fissi di bevuta. Dunque, o li aspettiamo tutti o non aspettiamo nessuno. La mia voglia di caffè aumenta. Sono le 9 e 15 minuti.
Franca. Non c'è nulla di meglio che iniziare la mattinata con un buon caffè. O un the, meglio. O una tisana. Soprattutto se uno sta un po' disturbato di stomaco. La montagna è bella ma, accidenti, che mangiare pesante. Meno male che ho preso un bel po' di sole.
Berta: Non hai mai moneta quando ti serve. E i colleghi stanno per arrivare. E mi toccherà offrire a tutti. E non ho sufficiente moneta. O tutti, o nessuno. Potremmo andare ora, per sfuggire a questo empasse. Beviamo il caffè per conto nostro, e via. Certo senza moneta, come fare. Potrei chiedere a Elziario.
Franca [alza finalmente la testa dal monitor]: Chi è Elziario?
Berta: Non lo conosci? Il tizio che sopravvive di là, nella stanza dei tappeti elastici. E' spesso fuori sede, non è mai qui. Passa almeno tre giorni alla settimana fuori sede: il martedì, il venerdì e il martedì. E' sempre qui, non va mai fuori sede. Non ne posso più di vederlo.
Franca: Mai sentito nominare.
Berta: Gli hai parlato poco fa. Lo hai salutato prima di entrare qui. Lo hai salutato poco fa. Gli hai parlato di fronte alla stanza dei tappeti elastici.
Franca: Quello è Dario, non Elziario. Sono sicura. Dario è molto basso. Sono sicura che sia Dario il tizio che ho salutato davanti alla stanza dei girini, perchè era eccezionalmente basso. E non porta pantaloni con le pinches.
Berta: Anche Elziario è basso. E neanche Elziario porta pantaloni con pinches. Non li sopporta, perchè li indossava l'amante delle moglie. Ricordi per caso se anche la moglie di Dario aveva un amante?
Franca: Io mi faccio i fatti miei. [pausa] Non nell'anno duemilasette. Forse nel duemilasei. Si, di sicuro ebbe un amante. Lo conobbe al circolo dei racchettoni. Fu una storia d'amore di una settimana. Poi divenne una storia di sesso di sei mesi. L'amante dei racchettoni, lo chiamiamo qui da noi. Forse portava pantaloni con le pinches.
Berta: Come l'amante della moglie di Elziario. Dunque è Elziario il tizio che hai salutato stamane, di fronte alla stanza dei cachi.
Franca: Che stranezza. Eppure era un uomo basso. Eccezionalmente basso. Qui da noi, se uno è eccezionalmente basso, è Dario.
Berta: Anche Elziario è eccezionalmente basso. Dunque ci sono almeno due bassotti in azienda. Potrebbe essercene un terzo. E costui potrebbe essere colui che hai salutato stamane, di fronte alla stanza dei tappeti elastici.
Franca: Prima eri sicura che quello fosse Elziario, quello che ho salutato di fronte alla stanza dei fucili a pallettoni, quello basso come Dario e senza pinches.
Berta: Lo pensavo sì, benchè ne conosca solo il cognome, perchè era eccezionalmente basso. Ma ora non ne sono più così sicura.

*dedicato a chi ama Ionesco, francese di origine rumena.
Spudoratamente ispirato a La Cantatrice Calva.
Saranno effettuate repliche.
Ma solo il martedì, il venerdì e il martedì.

Le mie esigenze di esportabilità mi obbligherebbero a ricercare riferimenti più nazional-popolari di Ionesco, ma non gliela fo. Se volete, fatelo voi.

Etichette:

 
sabato 3 novembre 2007

The September Guest #4

The september guest - Forse, la parte migliore di voi
Puntata #4 - La casa dei clochards

E la vita prosegue serena, nella casa della concordia e della tolleranza. Le lavatrici si susseguono a ritmo di centrifuga 800 giri/minuto, i panni vengono stesi a quattro mani su note di mughetto, il ferro da stiro è condiviso in ugual misura, e i pasti e le colazioni si svolgono serene.
(Per chi si fosse sintonizzato solo ora e fosse curioso di capire la natura di questa strana e rafazzonata convivenza, si guardi il trailer.)
I due insomma, convivono in armonia sotto lo stesso tetto.
A dire il vero, in questi giorni sui due incombe l'ombra densa e opprimente della separazione, che si annuncia imminente (almeno secondo quelli che sono i tempi dell'Ospite, che - come il suo nome ricorda - doveva trattenersi per il mese di settembre e ora siamo a novembre, ma vabbè). Tuttavia, della separazione parleremo solo quando avverrà, per non rattristrarci.
Il fatto notevole di questa settimana è bensì un altro.
La caldaia si è rotta.
E proprio mercoledì sera, all'inizio di un ponte di quattro giorni.
Perchè le caldaie si rompono sempre all'inizio dei ponti festivi? Mistero insondabile, come anche quell'altro fatto, ovvero che quando si stendono i panni freschi di bucato manca sempre un calzino all'appello. Perchè le lavatrici si mangiano sempre un calzino?
Ma non divaghiamo. Il penoso risultato della rottura, che appare tanto una morte apparente (la caldaia non espone nimmanco la lucina rossa di blocco, no: è proprio morta, non ci passa corrente, non schiocca, non frizza, non risuona, nulla) è che i due ora sono senza acqua calda e senza riscaldamento.
E così il lavaggio dei piatti è diventato un simpatico momento di raccolta famigliare in stile "la casa nella prateria", con l'acqua che sgorga libera e fredda dal pozzo sulle mani dei pionieri. Lavarsi la faccia la mattina dà quel brivido in più ai lavoratori della terra, e la sera, sul divano, i piedi che sbucano dalla copertina ghiacciano nel tempo che la cera cola sulla bugìa.
Lei ha risolto il problema facendosi una mega doccia in palestra la sera del disastro, e partendo la mattina seguente per la casa natìa.
L'Ospite invece ha tentato un lavaggio di fortuna con brocche di acqua scaldata sul fuoco rischiando perlopiù l'ustione dello scalpo, tanto per non farsi mancare nulla. Del riscaldamento poco gliene cale, dacché lui ha sempre caldo, forse perchè crede di conservarsi meglio al fresco. Insomma l'emergenza è stata tamponata in attesa dell'arrivo del tecnico, previsto per lunedì.
Eppure, un dubbio aleggia tra i due. Chi ha sabotato la caldaia? Qualcuno deve essere stato, con le sue petulanti manine. I sospetti di Lei si addensano ovviamente sull'Ospite, che come è noto, al fresco sta bene, e che nei giorni passati si è reso responsabile delle peggiori efferratezze.
E quando il sospetto si insinua nella mente, la vita non può più essere come prima.

(Al di là del sospetto sul guasto doloso alla caldaia, se Lei dovesse dirlo, sono i simpatici scherzi dell'Ospite a renderla nevrastenica. Perchè dopo una seratina di Halloween passata a vedere film del -cosiddetto- terrore, per quanto Lei sia adulta e vaccinata e lavori già in un ufficio di zombie, insomma, dopo una serata a base di schizzi di sangue e pipistrelli agonizzanti, un po' di cagarella ce l'ha nel mettersi a letto. E se proprio quella sera l'Ospite decide di piombarle in camera e flasharle la faccia col cellulare, così, all'improvviso, urlando "buaaaaaaaaaaauuuuh!", ecco, che abbia o meno sabotato la caldaia, lei può affermare con una certa sicurezza che è uno stronzo.)

Etichette: