giovedì 28 giugno 2007

Abilità

Come si è detto, a ciascuno la sua.
Oggi sono riuscita ad individuare un nuovo stato di Skype: in linea ma non raggiungibile. Prossimo passo sarà invisibile ma raggiungibile in via telepatica.
E poi. E' da qualche settimana che esercito un'altra abilità peculiare, per la quale sono diventata famosa qui in ufficio. Riesco a fare voce e risata di Mister X dell'Uomo Tigre.

Son belle cose.

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mercoledì 27 giugno 2007

L'impiegato nell'epoca della sua riproducibilità tecnica

Finalmente l'hanno capito.
Come al solito, ci sono arrivati per primi i giapponesi.
Si sono resi conto del fatto che la maggiorparte delle mansioni impiegatizie non hanno nulla di così complicato e astruso da rendere la presenza di un essere umano in carne ed ossa che le svolga una necessità irrinunciabile. La presenza di un impiegato che archivi documenti, spedisca mail alle scadenze, esegua somme su fogli excel, alle soglie del 2008, è ridotta a puro optional, passivo elemento di arredo, velleità estetica, superfluo ammennicolo. Uno di quegli inutili e imbarazzanti soprammobili in finta porcellana di Capodimonte regalati dalla suocera e di cui non si vede l'ora di sbarazzarsi.
E se non bastasse la santa causa della produttività ad ogni costo a rendere indifendibile la posizione di noi inutili impiegati, ecco che arrivano i giapponesi a dare una mano affinchè ci si liberi finalmente del pastelloso pastorello di Capodimonte. E offrono il destro per riuscire a dare una spintarella virtuale a quella fastidiosa statuetta che già da troppi anni se ne stà là, sul comò, immobile, a prendere polvere e basta.
E così, come ho appreso stamattina leggendo un trafiletto su EPolisMilano (pagina 20), i nostri amici del Sol Levante hanno pensato bene di affidarsi alla robotica per dimostrare ciò che era già sotto gli occhi di tutti. I giapponesi, con grande coraggio, impugnano ingranaggi e transistor e gridano "il re è nudo!" ovvero "gli impiegati non servono a nulla!", e propongono un nuovo prototipo di androide in grado di lavorare al posto degli esseri umani. Era ora!
Secondo quanto scritto nel trafiletto, l'impiegato del futuro sarà un robot di colore bianco, alto 160 centimetri, e con aspetto antropomorforfo. Voglio dire, meglio di molti dei nostri colleghi...
Pare inoltre che il prototipo potrebbe già essere commercializzabile entro il 2010.

Amici: prepariamoci. Ci restano solo 2 anni e mezzo per elaborare una strategia difensiva. E quindi spremiamoci le meningi come ormai non siamo più abituati a fare e pensiamo, pensiamo, pensiamo.
Cerchiamo di scoprire qual è quella caratteristica che rende il lavoratore umano irrinunciabile rispetto al sostituto dal cervello al silicio e dalle braccia al silicone. Quella dote in più, quella virtù peculiare che lo rende indispensabile, quel valore aggiunto, quella prerogativa essenziale che potrebbe distogliere il nostro capo dall'idea di acquistare 200 robot e farla finita con le richieste di ferie, coi capricci, con le bambinate e con le mestruazioni di donne e uomini.
Nell'epoca della riproducibilità tecnica di noi dipendenti impiegati e operai, che cosa c'è di davvero non riproducibile in ciò che facciamo o in come lo facciamo?
Mi vengono in mente le barzellette, le risate, le pause caffè, la puzza di ascelle, ma temo non siano utili alla nostra causa.
Mi vengono in mente fantasia, creatività, passione e capacità di improvvisare, ma anche qui faccio un buco nell'acqua. Dobbiamo sconfiggere l'avanzata di robot giapponesi, e non possiamo farlo con le solite armi da italiani pizza e mandolino.
I giapponesi se ne fregano di torna a surriento. I giapponesi lavorano.
...
Non abbiamo speranze.

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martedì 26 giugno 2007

Il coraggio e la viltà

All'interno dei nostri ordinatissimi e condizionatissimi uffici, non è raro incappare in una serie di comportamenti e manifestazioni emotive che potrebbero appartenere, data la loro caratteristica principale di spontaneità e capricciosità, ad individui di età scolare. Non fosse per il fatto che, alzando gli occhi, scopriamo che tali isterie provengono in realtà dai nostri stessi capi. In pratica, e come direbbe l'uomo comune che legge il giornale sul tram, siamo di fronte ai grandi che son peggio dei bambini. Nulla di cui meravigliarsi, sia chiaro. Si tratta solo di piccoli dispetti, scambi di mail piccate e piccanti, insulti velati e non, attacchi isterici e tante, piccole, inutili frenesie.

La baruffa chiozzotta cui recentemente ho avuto la fortuna di assistere riguardava il contenzioso su chi, tra due dirigenti potentissimi, avrebbe avuto l'uso della sala riunioni per ben - si badi bene che qui viene il bello- un'intera giornata.

In effetti, di fronte a tali questioni l'uomo comune di per sè non scatenerebbe alcun putiferio. Ma si sa, l'uomo qualunque è una pulce ignorante e non può capire. Qui da noi, in ufficio, il potere e il prestigio si giocano anche su queste apparenti quisquilie, che in realtà assumono proporzioni spaventose e conseguenze devastanti per i sottoposti.

Ritornando al match cui ho avuto la sorte di assistere, vi dirò che purtroppo o per fortuna (ma chi se ne frega in fondo!) io appartenevo alla squadra perdente. A noi miseri tapini è stata giocoforza messa a disposizione una saletta di fortuna, dopo che la sorte o meglio il potere aziendale aveva decretato che a noi merdacce non sarebbe spettato l'uso della grande, confortevolissima e arredatissima salona delle grandi riunioni .

AL che il nostro caposquadra si è rassegnato ad accomodarsi nella saletta di fortuna con ancora le piume arruffate dalla lotta, mestruato più che mai nelle intenzioni, e si è inopportunamente ed esageratamente sfogato sul classico "primo stronzo che passava", lasciando a noi che stavamo lì la contemplazione di uno spettacolo a dir poco raccapricciante: la vittoria degli illogici deliri di un dirigente seienne su qualunque possibile terapia di autocontrollo.

Finchè non tocca a noi essere vittime della merda che sale la cervello dei nostri capi, e finchè rimaniamo nella posizione di chi contempla sadico e beato le sfighe degli altri, abbiamo la possibilità di farci due risate sotto i baffi da veri bastardi quali siamo e riflettere su quanto siano strane queste bestie strapagate che vivono in domicilio coatto all'interno di un edificio dalle superbe pareti esterne specchiate.

Ma quando arriva il giorno in cui il grande sovrano che tutto regge e tutto sa decide che è giunto il momento anche per noi di sottoporci alla pubblica gogna, sotto un giogo di crudeltà e ripicche, ecco che sentiamo le guance infiammarsi di fronte all'idea che la giustizia terrena sia stata una volta di più calpestata, sentiamo i pugni fremere dalla voglia di rivalsa, le braccia contrarsi dalla bramosia di menar schiaffi, le giunture scricchiolare dal desiderio di menar calci allo stomaco, e i nostri pensieri convergere verso una solida e degna idea di vendetta, verso un'unico, solo motto-guida: "io adesso a questo stronzo gli spacco il culo".

Ma non ci preoccupiamo ora di quando verrà il nostro turno. Pensiamo a godere come sciacalli del fatto che anche stavolta non è capitato a noi. Stiamo tranquilli e sereni. Beviamo distesi il nostro caffè. Quando verrà il nostro turno, vedremo i nostri colleghi bastardi che ridono sotto i baffi, udiremo il nostro capo che ci urla nelle orecchie a dieci centimetri di distanza per un qualcosa di cui non abbiamo alcuna colpa, ingoieremo meschini tutta la rabbia e l'ansia di rivalsa, e i nostri squallidi e vili pensieri da impiegato convergeranno verso un unico, solo motto-guida: "stai calmo che il 27 arriva lo stipendio".

A volte io mi faccio un po' schifo. Voi no?

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domenica 24 giugno 2007

El desco

Da uno studio condotto con le gambe sotto il tavolo e la panza piena, ecco alcuni proverbi della tradizione veronese sul mondo della tavola:
A tòla no se vien veci.
Dio te varda dal magnador che no beve.
La boca porta le gambe.
All'ostaria no vago ma co ghe son ghe stago.
Chi va a leto senza cena tuta la note se remena.
A San Martin casca le foie e se spina el bon vin.
L'omo che g'ha paura de magnar g'ha paura de viver.

Done bele e vin bon iè i primi a lassarte da cojon.

Dedicato agli amici di VeronaBlog.
Se qualcuno volesse contribuire con altri detti dialettali, è ben accetto.

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venerdì 22 giugno 2007

Ritratto di Stephan

Stephan viene dall'America. Stephan oggi è qui per fare una presentazione. Stephan ieri era in Spagna. Stephan conserva nella sua valigetta un pacchettino di boarding pass alto quanto un mazzo di carte da ramino.
Stephan è direttore tecnico di una prestigiosa azienda americana, pertanto sarebbe meglio chiamarlo Chief Technical Officer. La sua azienda ha un nome che è composto da un termine inglese e da un termine latino. Credo che Sthephan abbia studiato il latino, forse in uno di quei college esclusivi dove gli alunni sono obbligati a indossare una divisa.

Stephan hai capelli corti e rossicci. Qualche capello è già bianco. Stephan ha la pancia: una di quelle pance ovali e cadenti che obbligano il proprietario ad abbassare i pantaloni sul davanti, affinchè la cintura scenda al di sotto della prominente epa. Stephan è vestito all'americana: giacca doppiopetto sbottonata, con le falde che penzolano sconsolate ai lati della pancia.

Stephan gira il mondo. Presenta la sua azienda e i suoi prodotti. Le sue presentazioni durano venti minuti e sono molto interessanti. Durante le sue presentazioni, Stephan si collega a un sito di vendite on line fingendo di essere un hacker, e dopo quindici minuti ne esce con i numeri di carte di credito degli sprovveduti che hanno avuto la sventura di fare acquisti su quel portale.

Stephan è un mostro dell'informatica. Sthephan ha l'età del mio papà, che non sa nemmeno che cosa sia una barra degli indirizzi, e che ogni tanto mi telefona al lavoro per sapere come deve fare per far uscire il simbolo dell'euro - 'Eh, cos'è alt-grrrrrr?' -.

Stephan va, con i suoi piedini. Cammina per il mondo. E va. Mangia pasticcini delicati ai coffee break. Chiacchera amenamente di sicurezza informatica con giovani colleghi maschi appassionati di informatica e di fumetti fantasy. Prima e dopo gli interventi lavora da solo nella meeting room. Lavora sodo. Dorme tra lenzuola profumate in albeghi costosi. E va, con i suoi piedini. Parla con tutti. Un aereo ogni due giorni. Per presentare i prodotti della sua azienda. I prodotti della sua azienda hanno lo scopo di evitare che tutto quello che Stephan riesce a simulare durante le sue presentazioni accada davvero a chi vende prodotti on line. Stephen dimostra le sue tesi sulla bontà dei propri prodotti ogni giorno, con la forza delle parole e con la solidità di una logica incrollabile. La platea lo ascolta con quella attenzione data dalla consapevolezza che uno come Stephan, con le sole armi della pazienza e della logica, uno come lui, con la pancia enorme e ovale, uno come lui che sembra mio padre, può clonarti la carta di credito in quindici minuti.

Il lavoro che si svolge nei nostri uffici è lavoro di pura invenzione e friabile sostanza, di timida intraprendenza e palese mediazione, è l'arte di scalar superfici specchiate e di grattar il fondo del barile, è lavoro di furbizia bovina e stucchevole paraculaggine.
Ma Stephan è americano. Stephan, che sembra mio padre, in tema di application hacking ne sa una risma in più degli altri. Stephan va per il mondo, con i suoi piedini. Stephan non ha paura delle domande e risponde con la sicurezza di una logica schiacciante e indubitabile ereditata dal sapere degli antichi. Stephan probabilmente chiama al lavoro la figlia per aiutarla a risolvere problemi informatici, per proporle le soluzioni più efficaci con la forza di poche parole e il potere della logica. Stephan, con i suoi piedini e la sua pancia, probabilmente si diverte.

Se Stephan qualche volta si senta solo, a noi non è dato di saperlo.

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mercoledì 20 giugno 2007

Corsi e ricorsi

Che bello frequentare i corsi di formazione.
Giornata di libera uscita in compagnia di fedele collega.
E' come se non fossero passati gli anni che in realtà sono passati dai tempi della scuola.
Al corso c'eravamo noi, i secchioncini, che avevamo studiato come ci era stato chiesto, e c'erano tutti gli altri, che non avevano studiato.
Il difetto delle capre è che non si rendono conto che lo sforzo iniziale di studiare quel poco che è richiesto dalla scuola e dalle aziende italiane è ampiamente ricompensato dalla possibilità di farsi un pacchettino di cazzi propri quando si è costretti a partecipare ai corsi di ripasso o, come si dice, di follow-up. La ricompensa è la possibilità di seguire la lezione senza ascoltare, tenere la mente sgombra e le mani lontane dal PC, osservare il vasto campionario umano dei presenti, lasciare che le mail si accumulino e che il telefono rimanga spento, pensare alla spesa, a cosa fare la sera, o a quanto è carina la borsa di Vuitton di quella là chissà se è originale e quanto gli è costata a quella stronza.
La nostra teacher era una ragazza belga che parlava un italiano stentato. Non riusciva a tenere la classe: era una teacher con poco polso. E così, già dopo due secondi, io e il mio compagnuccio di merende avevamo capito due cose: uno, la platea era irrimediabilmente indisciplinata, due quello era un corso di sostegno e noi, che avevamo studiato, non ne avevamo bisogno.
E così abbiamo sfruttato l'occasione per tirarci virtuali palline di carta e gettare l'occhio su quelli che in teoria sarebbero stati i nostri (nostri?) concorrenti aziendali, ma con quell'occhio ironico e distaccato di chi se ne frega bellamente della concorrenza aziendale, in quanto non ha nulla da perdere nè provvigioni da guadagnare da questa finta guerra a colpi di mail.
Lo scolaro alla mia destra era ciccione e puzzava. Già alle nove il suo corpo emanava un odorino un po' putrescente. Ho approfittato della pausa caffè per piazzare la borsa dove stava il suo sederone e costringerlo a sedersi un posto più in là.
I discepoli seduti dietro erano un gruppo compatto che mormorava in continuazione sostenendo di non sapere un cazzo e che dal corso non si capiva nulla. Sottlineavano a più riprese di essere di essere impermeabili a qualsiasi informazione. Ma io a 50 anni devo mettermi qui a imparare sta cosa??? Perchè da noi la mediocrità è spesso un valore rivendibile al prossimo? Ce l 'abbiamo scritto nei geni? Ma tanto si sa che gli americani non si lasciano impietosire. O fate come dicono loro, o siete fuori. Non importa se protestate, non importa se voi italiani avete la pizza l'opera gli spaghetti e suonate il mandolino. Vi adeguate. Sistema meritocratico.
Gli scolari seduti davanti a noi avevano preso la lezione come una ripetizione privata in cui poter indirizzare all'insegnante i loro personalissimi scazzi interni e pretendere che venissero risolti. Il più attivo di loro, cespuglio grigio in testa su nuca pelosa, soprannominato "the brain", pretendeva di pilotare la lezione in funzione delle proprie necessità fisiologiche.
Edotti da questo pomeriggio esterofilo e culinario e circense, io e il mio compagnuccio dovremo nei prossimi giorni diffondere il verbo della conoscenza a tutti i colleghi. Tutti i colleghi dovranno quindi fare un esame. Io ho già le risposte. Ma per ora non le diffondo alla plebaglia. Devono sudare tutti come ho fatto io. Sono una secchiona fetente, lo so, ma me ne frego.
E, come ogni brufolosa secchiona repressa che si rispetti, ho dato le risposte al collega più carino che me le ha chieste qualche giorno fa tramite mail ruffiana. Ho ceduto quasi subito. Mi ha detto che sono un tesoro.
Perchè le secchione, per quanto culturalmente indipendenti, hanno sempre bisogno del bello della classe che gonfi loro l'autostima a suon di pompate che recitano sei un tesoro sei proprio carina cosa farei se non ci fossi tu? E' terribile.

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martedì 19 giugno 2007

Tutti i mali del mondo

Respira la vita a vuoti polmoni. Incurva la schiena per otto ore al giorno. Clicca miliardi di volte sul mouse. Specializzati nel gesto atletico di allungare il braccio verso la cornetta. E quindi prova a ridistendere le membra nel fine settimana e datti al golf, alle immersioni, alla palestra. Vacci piano col sesso. E almeno una volta guardati intorno il martedì mattina.

Diaframmi che fanno fatica a comprimersi e a dilatarsi, schiacciati sotto il peso delle spalle. Polmoni nati come possenti mantici e ridotti a fiappe zeppoline. Corde vocali come sottili pliche di tessuto ridotte dal fumo a inerti palloncini pieni di liquido . Voci grattate, voci senza il sostegno della aria, voci che nascono in gola e in gola muoiono. Nessuna colonna d'aria, solo uno sfiato che arriva al massimo sino al monitor del PC. Obbligo del microfono per parlare dinanzi al pubblico. Gole chiuse, gole che mal deglutiscono, lingue allappate. Mucose secche, sempre. Mucose grattate, mucose che grattano.
E poi gambe. Gambe molli, gracili, gambe quasi atrofiche. Gambe che non reggono. Gambe poco allenate. Gambe brutte, gambe bianche coi peli che arrivano sin dove arriva il calzino in filo di Scozia. Ginocchia poco oliate, ginocchia che cigolano. Anche legnose. Bacini chiusi.
E di nuovo nasi. Nasi immancabilmente allergici. Nasi offesi dallo smog, dall'aria chiusa pregna di vapori di toner, di polvere, di elettricità. Nasi che un tempo dovevano respirare. Nasi che colano, sempre. Nasi che spurgano, nasi che non ce la fanno più.
Occhi che lacrimano. Occhietti nascosti, incavati, occhi poco espressivi. Occhi dietro gli occhiali. Occhi di colori indefinibili. Palline un po' colorate, spente, impolverate. Occhi che guardano ma non più di tanto.
Mani grosse e grasse. Mani piene di liquidi, mani orizzontali sopra la scrivania, mani con la tendinite da mouse, mani col tunnel carpale da tastiera, mani che in un motto d'orgoglio rifiutano gli ultimi ritrovati del design ergonomico e continuano a far male, sempre. Mani che non conosceranno l'artrite da lavoro, mani gonfie di caldo.
Piedi che strabordano tra i laccetti dei sandali. Piedi screpolati, piedi poco curati. Piedi che non sorreggono nulla: ci pensa la sedia. Caviglie con elefantiasi, grosse con tronchi di banano. Caviglie piene di umori che defluiscono dall'alto al basso, senza possibilità di risalita.
Teste forforose, cute secca. Per colpa dell'aria, aria fetida, schifosa. Secca i capelli, secca la pelle, che si stacca in minuscoli pezzi e finisce sulle spalle, sulle scrivanie, e di nuovo nell'aria, per la gioia degli acari, che si moltiplicano. E di nuovo altre allergie.
Bocche secche. Aliti stanchi. Aliti di fumo. Aliti schifosi, mefitici. Odore di sputo misto a nicotina. Pelle che invecchia, inesorabilmente. Solchi agli angoli della bocca. Solchi inutili, che non portano con sè una storia degna di nota: sono i solchi delle colonne in autostrada, i solchi di smorfie davanti al PC, raramente solchi di stupore. Mai solchi che abbiano un senso.
Ma la vera attrazione sono gli stomaci. Stomaci inutili, stomaci delicati. Stomaci che non digeriscono più nulla. Stomaci acidi, stomaci che ruttano panini al latte. Stomaci che mai fuori pasto, stomaci che nulla che non sia pasta al pomodoro, stomaci che questo è pesante e quell'altro pure, stomaci che fanno la felicità dei produttori di Latte Zymil, stomaci che non trattengono neanche i loro stessi succhi gastrici, stomaci che si avvelenano da soli. Stomaci da Maalox.
E le teste. Teste pesanti, teste col mal di testa. Grappoli spugnosi di cervello che si restringono come ostriche quando ci si versa sopra il limone, e si contraggono, e fanno male. Male alla testa. Male alla cervicale, male ai tendini del collo.

Guardati intorno il martedì mattina. Sentiti un detrito. E poi datti al golf.

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domenica 17 giugno 2007

No me par de farghela

E' tempo di mietitura. Un'altra volta.
Si sa, giugno è il mese di chiusura delle scuole, il mese dei saggi di danza, e per noi impiegati è il mese della sudata compilazione della richiesta ferie - operazione del resto inutile, chè si sa che noi impiegati italiani si finisce sempre per ammassarci in spiaggia nelle due centrali di agosto.
Giugno è anche il mese in cui fioccano i concorsi tra blogger.

E così, o miei fedeli lettori, sappiate che per disgrazia vostra la Tengi è stata nuovamente nominata in occasione dei Verona Blog Awards e, una volta in più, ambisce a ben due premi: Premio Giulietta per il miglior blogger femmina dell'anno, e Premio Mercuzio per il miglior Blog Umoristico.

Ordunque, per chi lo vorrà, c'è il solito sbattimento disumano per votare la vostra beniamina dal sedere quadrato. Al solito c'è scaricare e compilare un bel file Excel che trovate qui quindi inviarlo a veronablog@gmail.com indicando le preferenze. Ah, stavolta il giochino prevede, giusto per non farvi annoiare, di indicare tre preferenze per categoria, segnalando con il 3 il blog preferito, con il 2 la seconda scelta, con l’1 l’ultima opzione. A parte la seconda scelta, che rimane tristemente tale qualunque sia il sistema di riferimento, occhio a non sbagliarvi mettendomi un 3 pensando di schiaffarmi al terzo posto, che anzi mi mettete al primo, e viceversa. Ma insomma non devo dire altro: siete personcine intelligenti mi pare. Eobbligatorio, pena il non conteggio della scheda, votare per tutte le categorie. A buon rendere.

Spero che in tutto codesto bombardamento di informazioni la vostra mente sia rimasta reattiva e qualcuno di voi abbia avuto il buon tempo di chiedersi che cosa ci faccia io in un concorso di blogger veronesi. Ebbene, è giusto il momento di svelare questo interessantissimo aneddoto: la Tengi pertanto timidamente si cala una sottile spallina del suo vestitino di riservatezza e svela la sua provenienza regionale.

La bellissima città di Verona diede i natali alla Tengi, qualche anno fa.
A Verona la Tengi frequentò il prestigiosissimo liceo Girolamo Fracastoro: lì visse le sue prime cagarelle scolastiche e i suoi primi drammi sentimentali. A colpi di "bela vecio" "che sketch" e "stradeladeladebattello", la Tengi visse gli anni dell'adolescenza con quella spensieratezza e fiducia nell'avvenire tipica dell'età puberale, fumando schifosissime sigarette mentolate che all'epoca andavano tanto di moda e cimentandosi quale voce solista alla Janis Joplin in un promettente gruppetto rock da scantinato che avrebbe fatto molta strada se qualche ignorante non avesse tolto loro l'uso del garage per renderlo prosaico deposito di attrezzi.
La Tengi non vive più a Verona, ma ama recarvisi periodicamente un po' per nostalgia degli amici e della città e un po' per il disgusto che le provoca la vista del suo frigo vuoto se paragonato a quello di mammà.

Ma nonostante sia lontana dalla città dell'amore, la Tengi conserva le tradizioni delle origini e festeggia il Natale col lesso alla pearà, preferisce il Pandoro al milanese e patoccoso Panettone, esulta gaudente al sopraggiungere del venerdì gnocolar, si reca all'opera in Arena col suo bravo cuscinetto da apporre sotto il culo, passeggia sul Lago di Garda, e almeno una volta al mese si sbronza in Piazza Erbe coi butei da cortei.

Con tutto ciò, spero che i veronesi che giungeranno qui spinti dai fasti di VeronaBlog ameranno soffermarsi tra queste pagine e leggere qualcosa della loro umile compaesana. Ricordo anche ai miei fedelissimi che rimane viva e attiva la sezione qui di fianco "Pezzi scelti", che raccoglie le cose a mio parere meno schifide. I giorni che non posto magari fatevi un giro da quelle parti. Ci sono andata stasera e devo dire che di alcuni post stentavo a riconoscere la paternità. Forse erano del mio ghostwriter, ora non ricordo.

Bela veci

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venerdì 15 giugno 2007

Chi si batte si ama

Il titolo di oggi è un proverbietto un po' sorpassato adatto per quelle occasioni in cui, tra contratti e scadenze, tra riunioni e preventivi, incuranti della pioggia di mail che batte sul monitor e degli squilli incessanti di un telefono insolente, fanno capolino da sotto la scrivania i bambini che eravamo. Scherzosi, maldestri, e stupidini. A tratti odiosi. E assieme a loro bussano alla porta dei nostri uffici i ricordi di tanti anni fa, i ricordi di quelle prime esperienze coi cuoricini sulle "i" cui siamo tuttora spesso e volentieri disperatamente aggrappati.
Se ci penso bene il primo ricordo di un bambino che mi piaceva risale al primo lustro di vita, in una folle giornata di invaghimento pre-puberale al sapore di zucchero filato. Una proto-cotta con tanto di struggimento di cuore, non meno intenso di quello che poi si prova per il primo stronzetto che scopri sotto i jeans a sedici anni in un bel pomeriggio di camporella.
Le storie più belle, quelle vecchissime, son quelle che lasciano il segno. Sono i ricordi più forti che lasciano tracce fossili sui nostri visi e nelle increspature della voce, finchè non capita un bel giorno che li scopriamo tra le pieghe di un sorriso e da lì ci colpiscono al volto le sensazioni esatte di vent'anni prima. E coi fossili in mano facciamo due conti e scopriamo che le dinamiche sono sempre quelle, che siamo tutti ancora bambini. Che anche le donne di duemila anni fa usavano i pettinini e le collanine e i braccialettini.
Perchè se quando avevamo cinque anni al bimbo che ci piaceva mollavamo qualche schiaffetto in faccia - e se eravamo fortunate lui ci rispondeva tirandoci la treccia e allora sì che tornavamo a casa con le gote rosse sicure che fosse vero amore - , allo stesso modo i trentenni di oggi che vorrebbero rovesciarci sul letto e farci vedere quello che saprebbero fare, non riescono a trovar di meglio per farcelo capire che spintonarci goffamente sul far della sera, fuori dall'ufficio, ebbri di caffè consumati alla macchinetta e resi emotivamente vulnerabili da una giornata estenuante, dopo aver raccolto gli ultimi scampoli di coraggio maschile tra i resti della loro ultima disastrosa storia d'amore.
In un primo momento l'istinto di noi donne che ci sentiamo picchiare alle spalle da chi non conosciamo ci suggerisce di girarci a muso duro e gelare l'impavido boxeur con un secco "che cazzo fai". Ma poi scatta la fase in cui capiamo che forse è il caso di essere meno rigide un po' perchè il pensiero che qualcuno voglia solo rovesciarci sul letto ci solletica non poco l'amor proprio, un po' perchè se la fortuna ci assiste può capitare che chi ci percuote non sia proprio da buttare, e infine perchè il gesto di batterci in fondo in fondo ci smuove nel basso ventre una tenerezza languida inaspettata e insolita per un martedì pomeriggio.
E sull'amar battendo o sul battere amando ci si potrebbero riempir più libri. E ci sarebbe sempre spazio per un capitolo che spiega come mai per noi donne la convizione che un uomo possa divenire il nostro cucciolone per la vita debba necessariamente passare sotto il giogo di una serie di pacche innocenti che nella loro accennata violenza preludono future e calde sferzate un po' meno innocenti.
E se quando avevamo cinque anni, dopo le botte, ci si regalava vergognosi un pezzetto di merenda, al giorno d'oggi in ufficio si può rimediare una penna come pegno d'amor. Giocoforza, il passo successivo del ritual di corteggiamento de' nostri tempi sarà un timido invito a cena con sorpresa di torta al riso soffiato e coca cola in bicchiere di carta.

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mercoledì 13 giugno 2007

Sono problemi

E' tutto il pomeriggio che solerti e nerboruti operai sono al lavoro nella stanza del grande capo. Trapanano, avvitano e smartellano a ritmo incostante e imprevedibile come solo loro sanno fare.
(Ohibò, staranno costruendo una parete divisoria super accessoriata nella stanza del divino?) Macchè. Pare che l'esigenza pressante di ristrutturazione globale emersa oggi, per volere improvviso del grande capo, sia quella di sostituire una fastidiosa e antiestetica placchetta bianca con una identica ma nera. Piccolo particolare, per sostituire l'insidiosa placchetta elettrica gli operai hanno dovuto smontare e rimontare un intero blocco di fan coil delle dimensioni di un bancone da bar.
E poi siamo noi donne quelle mestruate, uterine, perfezioniste, attente solo a futili particolari estetici.
Ah, nel corso del pomeriggio è emersa anche la necessità di spostare la presa telefonica. Altra mezzora di lavoro per i nerboruti operai.
Brutta presa cattiva! Sei in mezzo alla stanza e tendi il tuo cavo insidioso sotto i piedini del grande capo. E se inciampasse? Potrebbe rompersi il menisco! Brutta presa cattiva adesso quant'è vero iddio ti spostiamo!

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martedì 12 giugno 2007

Pillole

E anche sulla mia scrivania è arrivato Skype.
Ho dovuto installarlo, Vostro Onore. Il mio consulente psicologico personale si rifiutava di dialogare con me tramite Messenger. Nulla ho potuto contro la sua ostinazione. Ma ho bisogno di lui e delle nostre chattate, dacchè mi sono vista costretta a dotarmi anche di questo strumento per non incorrere in una crisi di nervi. La prego me lo lasci, prometto che la presenza di due canali di chat non toglierà tempo al mio lavoro.
In verità i canali succitati sarebbero tre, se consideriamo anche la chattina di GMail. Finirà che avrò più finestre di conversazione che capelli in testa. Tempi moderni.

Oggi ho le scarpe col tacco e sono vestita bene. Perchè oggi ci sarà un grande evento. Ospiti internazionali, riunioni fiume, vassoi di caramelle (mi verrà un'indigestione) e servizio catering (non vi esaltate, si tratta di panini. Di lusso, ma sempre panini). Fossimo in un romanzo di Jane Austen, quella di oggi sarebbe stata la classica occasione in cui una ragazza da marito ha la possibilità di fare "degli ottimi incontri". Ah, come è difficile trovare un buon partito. Tempi che furono.

Mi rendo sempre più conto, giorno dopo giorno, che questo lavoro non fa per me. Mi viene quasi voglia di chiedere ai miei lettori "qual è la professione in cui la Tengi potrebbe dare il meglio di sè?". Anzi quasi quasi lo chiedo. Orsù, lettori di Pezzi, scatenate la vostra fantasia. Vestite la bambolina Tengi della professione che a vostro parere le sta meglio addosso. E' facile. Ritagliate le sagome cartonate delle professioni di questo mondo che trovate allegate al numero odierno di di Pezzi. Ciascuna professione si compone di vestitino cappellino e scarpette. Apponete le sagomine sopra la silhoutette di Tengina in mutande e canottierina e fissatele con le apposite linguette. Ammirate ora la vostra creazione. Potete cambiare quante volte volete, ci sono infinite possibilità. Tengi- magistrato? Tengi - venditrice di frittelle? Tengi - bigliettaia sul tram? Tengi - pescatrice? Tengi alla Casa Bianca?
Si lo so Vostro Onore sono noiosa e batto sempre sullo stesso chiodo del lavoro insoddisfacente. Ma non credo mi si possa condannare per noia molesta. Voglio dire, nel magico mondo della blogosfera questo è un reato veniale. E poi il mio blog nasce proprio per questo: per lamentarmi del mio lavoro di fronte a un pubblico. Togliete questo e cosa ne rimarrà? Una ragazza in mutande e canottierina!
Mi chiedo che fine farebbe questo blog se dovessi cambiare lavoro. Credo rimarrebbe in piedi comunque. Del resto, ormai vive di vita propria. Chi lo sa. Tempi che saranno.

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lunedì 11 giugno 2007

Un lunedì da leoni

Oggi è lunedì.
Venerdì scorso facevo la splendida su questo blog perchè lavoravo da casa, giusto?
Bene, stamane esco di casa bella sciolta, faccio la colazione dei campioni al bar sotto casa, infilo la metro con City sotto braccio, entro nel vagone e sgomito come al solito per un angolino libero.
A metà strada mi rendo conto che ho lasciato il PC a casa. E in quell'istante mi rendo anche conto che è ufficialmente iniziata un'altra settimana di merda.
Questo scherzetto di tornare indietro con la metro salire in casa prendere il PC rimanere bloccata in ascensore riprendere la metro e arrivare sin qui mi è costato tre quarti d'ora di ritardo e una sudata immane sotto la mia bella polo bianca che mi sta tanto bene. E scusate la poca finezza ma con questa afa sudano persino le chiappe. Odio sudare e odio arrivare qui sudata.
Perchè è svilente essere imperfetti fuori, a meno che non ci si senta perfetti dentro. And this is not the case.

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domenica 10 giugno 2007

Quel bel giochino delle chiavi di ricerca

Lo ammetto. Ho aperto il blog e ci ho lavorato alacremente, spendendo davanti ad un PC le mie ultime ore di avvenenza prima del fatale declino fisico, solo ed esclusivamente per poter fare quel bel giochino delle chiavi di ricerca.
Spulciare che cosa cercano coloro che arrivano qui su Pezzi. E magari capire se lo trovano. Per conoscere, per conoscersi.

culone
no, guarda, non è aria

certificato assenteismo
se riesci a scriverlo ti do 50Euro

come passare il tempo in ufficio
bella domanda

fenomenologia della stronza
di solito ti dice che vuole i suoi spazi

huston mutandine
abbiamo un problema agli elastici

non esistono piccoli ruoli esistono solo piccoli attori
il pranzo è servito

quando una persona ti guarda negli occhi perche' si prova imbarazzo e viene da ridere? e' un tic?
se la persona ha una caccola gigante che gli pende dal naso tranquillo è normale

uomo con i testicoli piu grandi del mondo
di sicuro non va a cavallo

uomini pezzi di merda
un evergreen

"il tempo il tempo chi me lo rende"
"non so non so ma potremmo farne una canzone"

sbadigliare calvizie
non vedo il nesso

dire a una collega come và
sarà mica così difficile?

incontri clandestini in romagna
cerca piadine&motel

scoreggia ufficio
un respiro a testa e la si fa fuori, via

gnocca mai!!!!!!
cambia bar

superiori cazzo piccolo
ognuno si consola come può

mia suocera lascia le sue mutande nel bagno
hai un problema

il suo nome era
tutti insieme: "cerutti gino, ma lo chiamavan drrrraaago!"

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venerdì 8 giugno 2007

Telelavoro

Nelle multinazionali americane si usa spesso lavorare da casa. E' una pratica comune e universalmente accettata, in quei giorni in cui non sono previste riunioni o incontri importanti. Tipicamente lo si fa di venerdì, unendo l'utile al dilettevole. Si risparmia tempo e danaro per gli spostamenti in auto o coi mezzi. Si lascia al dipendente l'illusione di avere una vita sua.
La mia azienda ci tiene ad assomigliare ad una multinazionale americana. E così anche qui da noi la pratica del lavoro da casa è delicatamente concessa in alcuni sporadici casi.
Io oggi l'ho fatto. Con sfacciataggine. Dato che ho il pomeriggio di ferie, mi sono chiesta per quale motivo dovrei sbattermi sbattermi fino in sede per poi tornare indietro dopo tre ore per prendere un treno. Per nessun motivo. E infatti.
E così son qui al mio tavolo che telefono e scrivo mail in mutande e ciabatte, con l'asciugamano in testa. Ho lavato i capelli stamattina.
E ho appena deciso che adesso scendo a farmi la colazione dei campioni al bar sotto casa. Gli schiavi son tutti al lavoro e il bar sarà deserto. Che meraviglia. Posso anche sedermi a leggere un quotidiano. Posso concedermi una timida passeggiata di cinque minuti per il parchetto, con le mani incrociate dietro la schiena, come un pensionato. Tirare un bastone al primo cane che passa, fare una carezza ad un bimbo, guardare il sole in faccia, pestare una cacca.

Quanto apprezzerei tutto ciò se non fossi costretta tra quattro mura per otto ore al giorno tutti i giorni?
Ma soprattutto, quanto devono essere inguardabili alcuni miei colleghi quando lavorano da casa in ciabatte e mutande?

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giovedì 7 giugno 2007

Idiosincrasie

Ufficio giovane e dinamico, intestino giovane e altrettanto dinamico. Non c'è bisogno di yoghurt alle prugne: qui da noi si va che è un piacere. Tra le altre cose, ci sono dei piccoli avvenimenti che mi infastidiscono. La tua è solo rabbia, rabbia da cattività forzata. Me lo ripeto, ma non posso fare a meno di provare irritazione. Quello dietro di me ha il vizio di alzarsi spesso dalla sedia per andare chissà dove. E' comprensibile. Ma il fatto è che accade sempre - e dico sempre- che cinque secondi dopo essere uscito rientri nella stanza con passo leggero perchè si è dimenticato qualcosa. Immancabilmente mi becca che leggo questo blog. Si sarà già chiesto cos'è questa schermatona verde di fronte a me? Spero non gliene importi. Io amo aprire la schermatona verde nei pochi momenti in cui gli altri si levano di culo. Perchè lui quando si leva di culo deve sempre fare la falsa partenza? Mi farà esaurire di questo passo. Potrei attenderlo sulla soglia e tirargli addosso ciò che dimentica.
Spero non colleghi che questo è il mio blog. Ho bisogno di sperare che sia stupido e non colleghi. Ma non è stupido il collega, e collega. Come se non bastasse, la sua erre moscia mi infastidisce. Ma la mia è rabbia, si sa. Non è reale. Non è di questo mondo.
Ufficio giovane e dinamico. Intestino giovane e dinamico. Sento un qualcosa. Mi frego le mani e mi dirigo verso il cosiddetto ufficio con il water. Finita la carta igienica. Perchè il cesso delle donne è sempre senza carta igienica? Fa nulla, ho i fazzolettini. Ma lo scarico è rotto: lo scarico-niagara scarica di continuo senza dare mai la scarica risolutiva, quella che porta via tutti i pensieri. Perchè il cesso delle donne ha sempre lo scarico rotto? Non posso rischiare. Esco e svolto verso la porta del cesso maschile. Maniglia bloccata. Occupato. Sei un bastardo. Risolvo di scendere al piano inferiore. Comincio a sentire una certa urgenza. Al piano inferiore non c'è nessuno. Entro nel bagno delle donne. Sono salva. Ma la porta non si chiude. Spingo forte ma nulla. Tiro una spallata ma nulla. Perchè non si chiude? Dovrebbe chiudersi, santiddio, non c'è ostacolo. Eppure non si chiude. Come mai non si chiude? E' davvero incredibile questo fatto.
Ho pensato troppo alla porta e senza accorgemene la situazione si è aggravata e l'urgenza è ora pressante. Esco e svolto verso la porta con l'omino coi pantaloni. Di nuovo il cesso maschile. Sorpasso due orinatoi a muro che destano la mia curiosità. Non c'è tempo di indagare. Entro. Mi chiudo dentro. Evvai. Un po' mi fa schifo il cesso dei maschi. Ma non c'è tempo.

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martedì 5 giugno 2007

Metti, una sera coi creativi

Perchè non tutti gli ambienti di lavoro sono come il mio.
Perchè ci sono quegli ambienti dove chi compie gli anni ha ancora voglia di invitare i propri colleghi a bere sui Navigli nonostante se li sia già suppati per una settimana di fila.

Sono quelli che organizzano eventi, quelli che lavorano con e per la musica. Quelli che fanno cose e vedono gente. Quelli creativi. Quelli che la testa gli lavora anche quando sono seduti sulla tazza. Quelli che fanno gruppo sempre, anche al bar. Soprattutto al bar.

Quelli che si considerano simpatici l'un altro e qualche volta si limonano l'un l'altro. Quelli che in fondo in fondo si vogliono bene e qualche volta si amano.
Quelli che si frequentano spesso anche la sera. Quelli che uscire coi colleghi non è l'ultima spiaggia cui far approdare la propria solitudine, la leva da tirare solo in caso di emergenza. E' un modo per stare insieme, per farsi venire delle idee, per intessere relazioni.

Sono quelli che quando si beve, si beve sul serio.Tanto che alle 9 e mezza son già tutti pieni come delle uova.

Ci sono ragazzi coi capelli lunghi e l'abbigliamento finto trasandato. C'è uno con una stella marina all'orecchio. Ci sono le tipe che ci stanno dentro. C'è persino una bambina di due anni che passa di braccio in braccio e non si capisce di chi sia figlia. Ci sono braccialetti grandi e collane etniche, camicie ampie e jeans oversize. Ohibò, c'è anche un agente assicurativo.
C'è il grande capo che improvvisa riunioni in mezzo alla strada accosciandosi di fronte agli interlocutori. E da quella posizione attacca uno sproloquio incomprensibile. Un volo pindarico che decolla col racconto di una visita al cimitero, sorvola a cuor leggero su una serie di problematiche di fatturazione, per atterrare sul motto aziendale del "dobbiamo essere un gruppo" e sul nonsense del "dimmi tu cosa devo fare". Non capisco nulla ma sorrido compiacente. Anche se necessiterei dapprima di un podologo per ripulire il discorso dalla erre moscia e quindi di un interprete di linguaggi creativi.
Mi chiedo cosa ne sarebbe di me se lavorassi con loro. Avrei forse molto più pepe al culo di quanto non abbia ora. Avrei senz'altro la possibilità di vestirmi casual più di quanto non faccia ora. Avrei la spensieratezza di sbronzarmi alle quattro del pomeriggio a qualche vernissage, più di quanto non faccia ora.
Avrei comunque voglia di scrivere il blog. E nessuno avrebbe niente in contrario. Tenere un blog è un'attività molto creativa. Ma il fatto di poterlo fare senza remore forse me lo renderebbe poco attraente. O più che altro, perchè non potrei parlare e sparlare dei miei colleghi. Colleghi che forse amerei alla follia. Dacché non avrei nulla di cui scrivere.

E allora metti che in certi casi è bello sentirsi parte del gruppo creativo pur standone fuori.
Metti che è affascinante guardare quello che accade là in mezzo tirando sul col nasino ogni tanto.
Metti che è comunque intenso lasciarsi sedurre da un coloratissimo lecca lecca gigante, di quelli che la mamma non ti compra mai.
E allora metti, una sera a cena coi creativi.

P.S. Da Tengi, con tanti auguri a te.

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lunedì 4 giugno 2007

Tagliamoci le vene per il lungo

Oggi la dirimpettaia ha portato in ufficio una piantina. L'ha posizionata sulla sua scrivania con estrema cura.
E' una pianta grassa, tarchiata e spinosa.
Mi guarda con sfida come a dire "embè? qualcosa in contrario?"
Suppongo sia qui per abbellire l'ambiente. Per renderlo più familiare e confortevole.

Io sulla mia scrivania non ho messo nulla per abbellire l'ambiente. Sulla mia scrivania campeggia solo qualche oggetto ereditato da una collega che beata lei se ne andò tempo fa. Niente foto, niente vegetali, niente peluche. Non ho messo nulla per rendere l'ambiente più familiare.
Questo perchè' una pianta non lo renderebbe certo confortevole.
Questo perchè le mie intenzioni sono quelle di non restare qui a lungo. In tal caso meglio non mettere radici. E non farle mettere alla pianta.

Però so anche che nonostante le mie intenzioni lavorerò qui per i prossimi vent'anni. E li passerò tutti seduta a questa scrivania. E li passerò senza neanche una piantina che renda l'ambiente più familiare e confortevole.

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domenica 3 giugno 2007

Parrucchiere per Signora

Un sabato ogni tanto, diciamo quando mi accorgo di avere in testa un salice piangente, mi reco dal parrucchiere.
Recarsi dal parrucchiere, per noi donne stupende che superata la soglia dei 25 capiamo che la sola farina del nostro sacco non basta a farci sentire belle ed apprezzate, è un appuntamento fisso cui attendere con devozione quasi religiosa. Perchè sappiamo che uscite dal parrucchiere staremo meglio con noi stesse. Perchè ci sentiremo estremamente più fighe. E di fatto, lo saremo.

Ecco, io oggi vorrei parlarne un po' con voi, care compagne di bigodini, di quanto sia difficile per noi donne trovare il parrucchiere giusto.
Il parrucchiere giusto è una summa di qualità che difficilmente sono presenti in un'unica persona. Innanzitutto è colui che ci sa capire. Deve essere in grado di dar forma e colore ai nostri più reconditi desideri, per quanto insensati essi siano. Non deve perciò tentare di dissuaderci se gli chiediamo tagli o acconciature in palese contrasto coi tratti del nostro bellissimo viso (ad. esempio allisciate di capello su visi già lunghi come quelli di Modigliani, opure mechès biondissime su carnagione già lattiginosa ad inevitabile effetto Ilona Staller, o ancora richieste di frangettone pesantissimo su volto già bruttissimo con tanto di naso da attrice almodovariana ecc...). Insomma non deve protestare. Deve farlo. E deve farlo bene. E se noi gli ordianimo "una spuntatina" deve tagliare poco, anzi pochisssimissimo, al limite facendo solo finta e tirando qualche sforbiciata a vuoto, perchè si sa che noi poi andiamo a controllare ciò che rimane sul pavimento per vedere se è stato di parola.
E poi il parrucchiere giusto deve esercitare in un negozio allegro ma non frivolo, familiare ma allo stesso tempo giovanile, frizzante e colorato ma comunque sereno e riposante, in un contesto che sia dinamico ma non frenetico... insomma, casa nostra.
E poi deve saper parlare con noi, intrattenerci, coccolarci, e alla fine mandarci a casa con un "sei stupenda tesoro", Ma che non suoni da leccaculo, perchè noi ce ne accorgeremmo e non torneremmo mai più. Siamo mica sceme, noi.
E poi deve essere all'avanguardia. Deve fare tagli giovani. Ma non troppo. Deve essere un misto tra il "parrucchiere per signora" che concia tutte con la cofana da matrimonio d'ordinanza, e il parruchiere modaiolo e gayissimo che costa un occhio della testa.
E un deciso no, no, e ancora no, alle catene in franchising. Quei posti spersonalizzanti, dove si lavora come in catena di montaggio, dove decine di ragazzetti appena usciti dalla scuola per tosatori di cani si permettono di metterti le mani in testa masticando ciunghe al sapore di uva. Orrore!!!
Noi donne fantastiche insomma abbiamo bisogno di spendere poco e sentirci a casa. Ma senza restare a casa, se possibile.

Ebbene. Crepate di invidia. Io un parrucchiere così l'ho trovato.
Oddio, non è esattamente così. Ma per molte ragioni non riesco a fare a meno di lui. E' lui, il mio uomo, il mio parrucchiere.
Uno che ha capito che noi donne non bisogna assecondarci, col rischio di beccarsi delle parole perchè quello che ha fatto non è quello che volevano (e di fatto non lo sarà mai), ma bacchettarci senza pietà. Insultarci, farci sentire un po' cretine anche. E noi lo adoreremo. E infatti io lo adoro.
Quando entro nel negozio sento il suo sguardo severo su di me. So che mi sta guardando per capire se l’ho tradito ("chi ti ha fatto questo taglio orribile? zoccola.") Maschio, sui 40 anni, magnetici occhi azzuri. Affascinante. Sposato. Sospetto gay. Ama l'opera ed impugna le forbici con grazia a dir poco sospetta, ma parla sempre delle donne che si è trombato. E' leggiadro ma pelosissimo, è dolce ma anche maschio, ha una voce vellutata ma con virile accento del sud. E' l'uomo perfetto. Forse è bisessuale. E questo me lo rende ancora più attraente. Perchè tutte le donne hanno la sindrome della crocerossina.
In negozio ci sono delle sue foto da giovane con improbabili capelli anni ‘80. All'epoca, erano capelli da urlo. Perchè lui non poteva non sapere che cosa fosse meglio per sè. E ora che è più maturo, ha raggiunto il nirvana di tutti i tagli di capelli. Ovvero, è rasato. Direte, bella forza. E invece no. Perchè la sua rasatura è talmente curata, che il suo essere un non-taglio la rende comunque un taglio - il taglio più cool che ci sia. L'ultima volta ho notato che si era rasato ancora più corto. La misura ideale. Gli stava benissimo. Per poco non svenivo.

Io non oso mai proporgli qualcosa per i miei capelli. Lascio sempre fare a lui. E così quando gli dico taglia e lui taglia sul serio, tantissimissimo, soffro felice e non mi lamento. Puro masochismo. Abbasso la testa, guardo i tranci di capelli per terra, alzo lo sguardo implorante e lo vedo lì, che mi sovrasta col suo sguardo magnetico e beffardo, con in mano un paio di affilatissime forbici con la punta svettante verso il cielo, e un ghigno da bastardo. Non posso fare a meno di dire: "si, hai fatto bene. sono bellissima. e sono tua. per sempre. ma dimmi almeno una parola gentile. fammi sentire unica."
Lui non dice mai nulla. E proprio quando mi stanco di aspettare e comincio a pensare "io non ci torno qui, questo stronzo non è abbastanza deferente, non mi solletica l'amor proprio per non dire qualcos'altro, mi fa sentire una delle tante, per di più brutta", ecco che lui se ne esce con la parola giusta. Niente di banale, che noi donne siamo mica sceme. La parola che ti fa sentire una sua creatura. Che ti fa sentire bellissima. Oppure fa quella cosa di avvicinarsi a te col corpo con la scusa di tagliarti un ciuffetto particolarmente inaccessibile, e di quella via ti appoggia il bacino al braccio, facendoti sentire la sua prorompente mascolinità. E tu ne vorresti ancora, ma proprio quando stai per muovere un po’ il braccio per sentire, finalmente, di cosa si tratta, ecco che lui si sposta per lavorare sulla nuca, lasciandoti nelle disperazione.
E’ un rapporto fatto così. Non finirà mai. Perchè senza di lui ormai non posso più vivere.

- Non ci provare neanche a farti sfilare i capelli da qualcun'altro, puttanella. Lo sai, ti concerebbe come una scopa di saggina. E tu torneresti da me piangendo sotto una testa orribile. Saresti uno spettacolo pietoso. E non è detto che io allora troverò un buco in cui infilarti il sabato pomeriggio. Abbiamo molto da fare qui. Non c'è posto per le zoccolette come te.
- Ah! ah! ah! Sei solo uno stronzo narcisista. La mia autostima non dipende certo da te, cosa credi!!! Ne trovo mille che mi fanno le mechès meglio di te! Non ho bisogno certo di un uomo che sa solo insult ... che fai? Che fai!? No! Ti prego, non cancellare l'appuntamento per il mese prossimo! Ti chiedo scusa! Perdonami. sono solo una piccola, stupida donna... ti scongiuro... non vedi che i miei bellissimi occhi sono pieni di lacrime? Ti prego, ripensaci. Ma perchè? Perchè mi tratti così??? Io ti amo...

...perchè quando un uomo ci prende di testa, è finita.
Come per gli uomini, così per i parrucchieri: corriamo dietro ai più bastardi.

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