Scena 2: il dopo cena.
Diciamocelo. Le serate che finiscono a "quattro amici, una chitarra e uno spinello" sono di una tristezza imbarazzante. Soprattutto se manca lo spinello.
Tempo di alzarsi da tavola, e già i colleghi adunansi nella saletta appositamente riservata per far casino e divertirsi tutti insieme. Questa almeno era l'idea.
I colleghi chitarristi attrezzati di tutto punto per la soirèe erano ben due. Sono sempre in due, se ci fate caso. Di solito quello meno abile dei due, semplice e buontempone, è relegato al ruolo di chitarra ritmica, all'accompagnamento. C'è da dire però che se gli chiedi "fammi le bionde trecce!" oppure "suonami certe notti!" lui si mette d'impegno con la lingua che sporge tra i denti, e poco dopo ti propone soddisfatto gli accordi mettendoti nelle condizioni di cantar tutto quello che vuoi, buonanima.
E poi. E poi c'è lui, Il Chitarrista. Ai suoi piedi, nella custodia, una chitarra rigorosamente classica, che lui impugnerà con estro sapiente secondo la corretta posizione di chi ha studiato l'arpeggio, mica come gli sfigati che hanno imparato a suonare col Canzoniere. A lui è lasciata, per tacito accordo, la direzione artistica della serata. Il chitarrista ritmico segue, ossequioso e sorridente, il suo idolo.
Bene. Si comincia con qualcosa di ritmato. Tarantella o pizzica, insomma ritmo popolare, per dar modo ai musici di scaldarsi le dita, mentre tutti gli altri si radunano a cerchio attorno a loro. Dopodiché, Il Chitarrista decide che è ora di esercitare i polpastrelli su qualche assolo di Eric Clapton. Attacca Layla, non si sfugge. Unica tra tutti i presenti, riconosco il brano. Glielo faccio notare con un sorriso, così, per fare un po' la simpatica. Lui non mi degna di commento, mi lancia solo uno sguardo obliquo di sufficienza. Cominciamo bene. Capisco che gli ho rovinato la festa, perché lo scopo degli assolini di Eric Clapton è da sempre quello di intimidire il pubblico e farsi riconoscere quale musicista esperto. Da notare, Egli si limita agli assoli introduttivi. Guai, a farci cantare una strofa.
Dopodiché, il Nostro decide di abbassare il tiro e di farci sentire qualcosa di nazional-popolare. Vasco. Oh, bene, magnifico, si canta, finalmente. Vasco, porca miseria, lo conoscono tutti. Macché. Tira fuori dal cassetto un repertorio di brani sco-no-sciu-ti, che secondo me manco Vasco si ricorda di aver scritto. Ringalluzzito vieppiù dal fatto di vederci spaesati su un mostro sacro come Vasco, il Bastardo improvvisa un simpatico gioco a premi chiedendoci a più riprese "indovinate qual è questa". Impossibile azzeccare i brani. Roba da matti. Niente Tofì o Sabri, niente Sally o Brava Giulia. Arrivano Giusy, Maria, Roberta. Ma chi cazzo sono queste? Forse è Peppino di Capri, ci sta tendendo un trabocchetto. Risultato, nessuno osa partecipare al quiz. Lo Stronzo allora spinge sull'acceleratore dello spregio e canta – da solo - con passione, imitando le esatte sfumature della voce di Vasco. Se la canta e se la suona. Stringe gli occhi a fessura, arriccia il naso nello sforzo dell'acuto, fa vibrare il labbro inferiore. Lo potesse cogliere un attacco di cagotto fulminante.
Tra il pubblico inizia a serpeggiare una certa insofferenza. Piovono richieste, le più disparate. Il Nostro non ne ascolta nemmeno una. Anzi, insiste coi brani da cultore e dà di capo al chitarrista ritmico affinché non si lasci distrarre dal volgo e lo segua con un adeguato accompagnamento armonico.
L'evidenza che salta agli occhi – e alle orecchie - è che Il Chitarrista accenna miriadi di canzoni e non ne porta a termine neanche mezza. E' sempre così. La storia infinita delle serate a quattro amici e una chitarra. Dapprima accenna una canzone con arpeggino. Poi prende il via, il pubblico si esalta e comincia a cantare. Proprio quando il gruppo comincia a ingranare, ecco che a Lui manca l'accordo per continuare. Lo cerca, spostando le dita sulla tastiera in 150 posizioni diverse, senza mai guardare la mano, per fare quello che gli accordi li cerca ad orecchio. E infatti li cerca ma non li trova. Oppure, accade che nel momento di massima esaltazione onanista, Lui si perda da solo in un arpeggio di propria invenzione, che non riesce più a chiudere nel rispetto dell'armonia classica e senza scadere nel cacofonico. Tipicamente il musico, per uscire dall'empasse, finge a questo punto di avere un sasso nella scarpa, o un po' di sabbia nel sandalo (nei casi di falò in spiaggia), o altro che lo infastidisca, come una sciarpa di troppo o una zanzara sul collo. Coglie quindi l'occasione per interrompere bruscamente il pezzo. La reputazione è salva. Nessuno dirà mai che non è buono a suonare. Cambia canzone. Gli altri disorientati non sanno più che cosa cantare. E via così. Quante serate buttate, ragazzi.
A questo punto, il pubblico inizia giustamente a scazzarsi di brutto. Qualcuno vocifera "Beatles". Mi faccio portavoce dei desiderata della maggioranza, cazzo, che siamo in 20 contro 1, e gli chiedo se suona qualcosa dei Beatles. Terreno fertile e conosciutissimo. Non credo a quello che sento: fa una smorfia e dice "no". Dice "no". Ci credereste?... E' guerra.
Mi guardo intorno. Uno degli astanti si era portato un digeridù. Avete presente quei tuboni di bambù che si trovano alla Fiera di Senigallia? Di solito quelli coi capelli rasta ci suonano dentro e producono dei suoni tipo nave che salpa dal porto di Livorno. Bene, chiamo il collega proprietario del cannone, che nel frattempo stava cercando di creare un tappeto adeguato agli assoli del Divino, e gli chiedo se mi fa provare. Lui acconsente. Mi spiega: bisogna spernacchiare col labbro a paperino dentro il tubone. Provo. Suona! Complimenti del collega. Mi esalto. Spernacchio a più non posso. Manifesto così il mio bavoso dissenso verso la conduzione della serata, facendo salpare una flotta intera di navi dal porto di Marghera mentre il Musico Della Domenica prosegue imperterrito il suo monologo masturbatorio.
Ed ecco che avviene l'incredibile. Il Nostro si lamenta. Ce l'ha con me, cazzo. Dice che non riesce a suonare con una nota continua di sottofondo. Io trasecolo. Ma come, suonava il tuo amico e non hai detto nulla, spernacchio io e ti dà fastidio? Fastidio de che poi, che non finisci una canzone manco a pagarti il cachet di Toquino?
Morale di questa aberrante serata. In due ore e passa di seduta non si è riusciti a cantare una strofa per intero. Nemmeno una, giuro. Se ci penso mi girano ancora le balle. Unico momento di gloria è stato quando al chitarrista ritmico gli si è rotta un corda. Il nostro Magnifico ha subito preteso di scambiare le chitarre e si è buttato anima e corpo a sostituire il Mi e raccordare lo strumento. Apre la custodia ed estrae una serie di strumenti specifici, tra cui una forbicina che a vederla parrebbe adatta a tagliare i peli del naso. Afferma a gran voce che la dotazione che noi vediamo fa la differenza tra un "musicista" e "uno che suona la chitarra". Bocca mia statti zitta.
Dio vuole che, mentre il Divino Supremo si trovava impegnato a riassestar lo strumento, il Ritmico prendesse il controllo della situazione, riuscendo ad accompagnarci per ben due canzoni scelte dalla plebe. Poco dopo, il Divino riprese la situazione in pugno e non ce ne fu più per nessuno.
Dal momento in cui mi hanno tolto dalle mani il digeridù e fino a quando non ci hanno cacciati dalla sala, ho dovuto accompagnare il triste soliloquio musicale col tamburello. Moderno contrappasso dantesco per chi pecca di Superbia. La schiena curva e rassegnata, lo sguardo perso nel vuoto, ogni tanto un colpetto ai sonaglini, riflettevo su come queste serate siano tutte uguali, tutte di una tristezza infinita.
Mai più, ho giurato a me stessa.
E ho rivolto un ultimo pensiero a quel John Belushi che, vestito di toga bianca in Animal House, si faceva portavoce contro tutti i soprusi di migliaia di serate come questa, strappava la chitarra dalle mani del Musico di turno e gliela fracassava violentemente contro il muro.
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