mercoledì 28 marzo 2007

Il pollaio (Una favoletta d'ufficio)

Un bel giorno di primavera, la gallina Tengi decise di farsi una passeggiata per l'aia.
Camminava distratta, guardando per aria e respirando i profumi della natura, quando udì degli allegri schiamazzi provenire da una delle stìe lì vicino.
La gallina Tengi si avvicinò, incuriosita. Mise dentro la testa, e vide che in quel momento nella stìa si stava tenendo un'allegra assemblea di galline. C'era la gallina Nervosetta, la gallina Elegantona, e la gallina Svampitella.
Le tre galline stavano amenamente chiaccherando di galletti, e se la spassavano un sacco. Appena videro la gallina Tengi, le chiesero subito se voleva unirsi a loro. Gallina Tengi disse di sì, ed entrò nella stìa con tutta la coda.
La gallina Elegantona le andò incontro in uno svolazzar di piume bianche e le disse "Dobbiamo trovare un galletto per gallina Svampitella, hai qualcuno da suggerirci?". Gallina Tengi ci pensò un po', e poi disse che conosceva un bel galletto giovane e ruspante che poteva fare al caso loro.
Tutte quante in coro esclamarono: "Coccodè! Quale, quale?". Tengi allora lo descrisse, ma le altre galline non capivano chi fosse, abituate come sono a frequentare i piani alti delle stìe, dove stanno solo i galli più adulti. "Ma quale, quello alto quanto dieci uova?" "Ma chi, quello con la crestina dritta?" "Ah! Vuoi dire quello dalla zampata lunga, che quando corre sembra un tacchino?!".
Finalmente, dopo molti coccodè e coccochiè e coccocomè, riuscirono a capire a chi si riferiva gallina Tengi. Furono tutte d'accordo che, si, era un bell'esemplare di galletto, alto e scattante, un po' taciturno forse ma interessante; tuttavia lo giudicarono troppo giovane per gallina Svampitella. Soprattutto gallina Nervosetta non ne voleva sapere, e esternava il suo disappunto agitando il sedere e facendo fremere la codina, tanto che alla fine le si arruffò tutto il piumaggio.
In mezzo a tutto questo schiamazzare, Svampitella non sapeva più a chi dar retta. Gallina Tengi tentò di convincerla che è sempre meglio scegliersi galletti giovani e veraci. Gallina vecchia fa buon brodo, è vero, ma un gallo vecchio fa un brodo frollato e basta. Le altre gallinelle non erano convinte e proposero a Svampitella un'altra possibilità: Gallo Dagli Occhialetti.
"Ma Gallo Dagli Occhialetti è un cresta moscia, quando ti parla non ha neanche il coraggio di guardarti il becco, e poi cammina in modo goffo!" Esclamò gallina Tengi.
Le altre non le lasciarono neanche finire la frase e l'aggredirono vociando come delle gallinacce: "Si, ma è un ottimo partito! E' il miglior gallo del pollaio! E' molto stimato dal fattore! Ha girato un sacco di pollai!". Tutte convenirono che era adattissimo per Svampitella.

E sia, pensò gallina Tengi. Tenetevi il vostro gallo dalle piume opache e dalle zampe rattrappite. Io continuo a preferire i galletti giovani che fanno buon brodo, anche se non hanno tanto becchime da offrirti. E poi non lamentatevi se a guardar come delle stolte le creste dei galletti finite per esser preda delle faine, stupide galline.

Gallina Tengi zampettò sconsolata verso la sua stìa. Poi si fermò, ci ripensò, e tornò sui suoi passi. Andiamo a vedere cosa sta facendo galletto Pasticcino, si disse, sistemandosi le piume.

Larga è la foglia
stretta la via
dite la vostra
che io dico la mia.

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martedì 27 marzo 2007

Vi sono luoghi

Immaginate di percorrere i lunghi corridoi che si snodano per lo stabile della vostra azienda. Pavimento e pareti familiari, conosciute. Avrete la possibilità di attraversare una miriade di ambienti aziendali. Se ci fate caso, ognuno di essi presenta la propria cifra distintiva. Ciascuno col proprio arredamento, le proprie persone, il proprio carattere.
Vi sono luoghi, in particolare, dove l'aria si fa via via più pesante man mano che vi avvicinate. Sono i luoghi che portano a certi uffici dirigenziali. Tutt'intorno sembra immobile, perchè le persone si muovono con circospezione. I colori si fanno meno vivi, le pareti scolorano. Le polo colorate lasciano spazio a camicie azzurre con le iniziali. Il vostro passo rallenta, e sentite la necessità di fare meno rumore possibile, di non far notare la vostra presenza. L'obiettivo della visita diventa fare quello che si deve fare il più velocemente possibile, e poi scappare via.
Vi sono luoghi dove la presenza di molte persone in una stanza quasi non si nota. Gli sguardi sono bassi ma attenti ad ogni vostra mossa. Qualcuno di essi si spinge oltre il bordo superiore del monitor e giunge sino a voi. Appena vi voltate, subito si abbassa.
Vi sono luoghi dove potete sentire solo il ticchettìo delle dita sulle tastiere. Dita frenetiche, che comunicano pensieri. Pensieri, ordini, parole, opere, omissioni. Dita che contribuiscono alla creazione di carteggi talmente lunghi che fareste prima a incontrarvi di persona e a farveli spiegare che a leggere tutto quanto. Sono le inutilità d'ufficio.
Una volta ero in grado di riconoscere questi luoghi. Ed ero abbastanza spavalda da attraversarli in maniera incauta. Incurante del resto, ritiravo la mia stampa e via.
Ora è diverso. Ora ci sono dentro, ci respiro e ci vivo. Tanto che non mi accorgo che il mio luogo è diventato uno di quelli, uno dei famigerati ricettacoli reazionari. Ora capita che qualche ex compagno di ufficio mi dica che nella mia stanza si respira "aria pesante". Aria che mette soggezione e sguardi diffidenti, per essere precisi.
Ah si? Beh, basta un piano. Salgo le scale a due a due. E mi tuffo nel girone dove non si parla in punta di forchetta, dove le camicie non hanno iniziali e i pantaloni non hanno pinces. Dove qualche buontempone si prende la libertà di mettere in mostra i muscoli, indossando T-Shirt troppo aderenti.
Dove i mocassini non esistono, esistono solo le eccezioni.

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La Tengi si riprende lo scettro

La receptionist gnocca ha dato le dimissioni. Poverina, non ha retto. Mi riprendo lo scettro e mi preparo ad un altro annetto di reame incontrastato.

L'ultimo periodo, in cui mi sono vista costretta ad abbandonare il trono, mi ha insegnato tante cose. Ho avuto paura che non sarei mai più tornata in auge. Ora che il pericolo è passato, sono pronta a tutto. Credo che accetterò la proposta di un calendario. Il teatro può aspettare. Meglio un uovo oggi, insomma. E battere il ferro finchè è caldo. Nel frattempo prenderò lezioni di dizione e di canto. Vorrei seguire le orme di Michelle (Hunziker), che ha iniziato come modella di perizoma ed ora è protagonista di un musical. Certo, bisogna fare tanta gavetta, essere preparate. Ma io mi sento pronta. E non sono disposta a scendere a compromessi.

Non so perchè, ma la vittoria non mi rasserena del tutto. Penso a lei che se ne è andata. Sarà anche gnocca, ma è pure furba. Accidenti.

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lunedì 26 marzo 2007

Tenerezze d'ufficio

I traslocatori che fanno avanti e indietro dal nostro ufficio recando mobili pesanti cercano in tutti i modi di non disturbare chi lavora. Il loro passo da scarpone pesante si fa leggero, e le loro voci si riducono ad un bisbiglio impercettibile. Aprono e chiudono la porta con grazia e fanno capolino con un timido sorrisetto. Non appena uno di loro commette qualche gesto maldestro, subito gli altri lo riprendono con un morbido "schhhh!".
La tenera atmosfera ovattata che questi omoni sono riusciti così abilmente a creare intorno a noi è talora interrotta da qualche bercio da pescivendolo proveniente dalla sala riunioni, dalla raffinata bocca di qualche dirigente.

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domenica 25 marzo 2007

L'ascoltatrice

Devo studiare un mezzo di teletrasporto per tornare a casa dal lavoro.
No, non mi interessa la possibilità di rendere il viaggio istantaneo, bensì il fatto di viaggiare via etere, completamente smaterializzata, lontana da tutto e da tutti. Soprattutto dai colleghi.
E' un dato di fatto. Mi hanno preso per il loro orecchio personale, per la loro ascoltatrice dedicata, di fronte alla quale vuotare il saccone dei propri malumori, insoddisfazioni, ansie e rimpianti, per vedere neanche tanto di nascosto l'effetto che fa.
Dopo la collega del personale, ammutinata del lavoro e della cucina, eccone un altro che mi ha preso di mira. Teatro del monologo sproloquiante: la metropolitana, di venerdì. Io, svuotata di ogni cosa che non fosse un lieve mal di pancia, mi guardo la scarpe pensando ai casi miei. Lui, seduto di fianco a me, appare leggermente inquieto sul proprio seggiolino. Qualcosa che lo tormenta. Sento che ha voglia di parlare. O mio dio! Non lo sa che, nella Milano che lavora, a marzo non è ancora aperta la stagione dell'amabile chiacchera tra colleghi? E comunque non è uso parlare dopo le 18.
Stupida io che non mi sono tempestivamente tuffata nell'ascolto del lettore MP3.
Gli così offerto il destro - l'orecchio destro per l'esattezza - per attaccare discorso.
Sullo spunto di semplici considerazioni sul caro affitti a Milano, dopo essersi informato su dove abito e su quanto pago di affitto all'incirca, ha iniziato a sciorinare dettagli riguardanti la propria situazione immobiliare, passando per desiderata specifici che consistono in un contratto a tempo indeterminato, un mutuo per la casa, uno stipendio più consistente, per finire sui progetti per l'avvenire. E tra i progetti per l'avvenire non potevano mancare una casa fuori Milano, il matrimonio e i figli.
A condire il tutto, mi esprime l'ansia che lo attanaglia nel trovarsi accerchiato da amici che si stanno sposando o stanno avendo figli, e nel constatare che il tempo corre. Beh, si, anche lui vorrebbe prima o poi, con la sua ragazza che certo stanno insieme da 5 anni, ma ora no, non ora, ora la situazione è precaria, ora non è consigliabile, anche se sarebbe bello, perchè poi da vecchi non sarà così bello, sai.
Mi guardava con due grandi occhioni azzurri pieni di speranza e un'espressione spaurita sul viso. Mi guardava cercando delle risposte. Non aveva posto nessuna domanda in particolare, eppure cercava delle risposte. Credo di avergli restituito lo stesso sguardo impaurito.

L'unica cosa che sono riuscita a fare, vergognandomene un po', è stato blaterare frasi di circostanza. Sembravo una di quelle parenti lontane che facevano visita a mia nonna, e che riuscivano a liquidare qualunque narrazione di fatti e situazioni disperate, con un "bhe, insomma, che vuoi farci... "del resto..." "prima o poi doveva succedere".
Non mi ero preparata nulla. Mi ha preso in contropiede. Troppa realtà tutta insieme per un venerdì pomeriggio. E poi l'uomo è lui. Dovrei essere io a porgli delle domande, semmai.
L'aggravante su cui riflettevo dopo averlo salutato è che siamo coetanei.
Scommetto che quella sera si è addormentato tranquillo, lo stronzetto.

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venerdì 23 marzo 2007

Viceserva

Credo che, in aggiunta a tutte le pubblicazioni esistenti che offrono ai selezionatori utili suggerimenti per valutare i candidati in fase di colloquio in base al loro atteggiamento o modo di porsi, di parlare, di gesticolare, qualcuno dovrebbe pensare invece a redarre un vademecum per aiutare i candidati a valutare l'azienda in cui si appresta ad entrare a partire dalla valutazione del proprio esaminatore.
Volete mettere? Evitare di finire nell'azienda sbagliata? Ma io pagherei oro!

Sta a braccia conserte? Atteggiamento di chiusura: l'azienda è fatta di persone spocchiose con un'alta opinione di loro stesse.
Mentre vi parla giochicchia con la penna? La noia lo attanaglia, si prospetta una mansione non particolarmente divertente.
Mentre vi parla è ipercinetico, spalanca gli occhi, sorride a vanvera, sembra che si sia calato un acido? Diffidate di chi cerca di convincervi mostrandosi gasato: forse lo hanno caricato a molla.
Non vi offre il caffè? L'azienda paga poco.
Insiste per farvi fare il colloquio prima delle 18? Cattiva gestione degli straordinari.
Parla dell'azienda come di una grande famiglia? Significa che l'ufficio del personale è un rettilario.
Perde tempo a descrivervi l'organigramma in dettaglio? Probabilmente non ce l'ha chiaro manco lui: cattiva organizzazione.
Vi fa aspettare mezz'ora? Segno che in quell'ufficio non hanno nulla da fare ma cercano in tutti i modi di dimostrare il contrario.
Non vi aspettare neanche due minuti? Segno che hanno molto da fare ma sono perfettamente organizzati.
Vi descrive l'azienda come la migliore sul mercato? Sono in fase di acquisizione.
Vi parla in modo nebuloso di rosee prospettive per il vostro futuro? E' perchè non hanno chiare manco le prospettive presenti.
Vi sciorina dati di fatturato e vi parla di un imminente ingresso in borsa? Stanno tutti a chiappe strette: sono previsti licenziamenti a tappeto.
Non vi accompagna all'uscita ma vi smolla lì dove siete? E' solo un gran maleducato. Probabilmente anche tirchio. Una volta assunte, occhio ad andare a pranzo col lui.
Vi guarda con bramosia? E' un frustrato dalla vita sessuale poco appagante. Una volta assunte, vi corteggerà sfacciatamente alla macchinetta del caffè.
Fa di tutto per non farvi vedere che vi guarda con bramosia ma in realtà lo fa di sottecchi? E' un frustrato dalla vita sessuale poco appagante. Una volta assunte, vi corteggerà timidamente alla prima occasione aziendale sincerandosi che siate ubriache.
Non vi guarda per nulla e insiste a trattarvi come se foste un uomo, arrivando persino a chiamarvi "Dottore" anzichè "Dottoressa"? Insiste troppo sulla parità dei sessi: sarà il primo dei maschilisti con cui avrete a che fare, mi spiace.

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giovedì 22 marzo 2007

Ormoni&Ossigeni

Chi è che voleva un po' di storie di ormone primaverile?
Eccolo accontentato.
E' ufficiale: stiamo assistendo al risveglio dell'impiegato. In tutti i sensi.
Pasticcino scrive via mail che per Tengi farebbe "questo ed altro". Il "questo" è l'inoltro di alcuni documenti, l'"altro" lo lascio alla vostra immaginazione.
Poi. E' definitivamente approdato qui il collega dalla voce calda e suadente di cui vi accennai. Ha lo sguardo vispo e cerca il dialogo. Sembra simpatico ed espansivo. Sembra una brava persona.
Ma non ce la farei mai con un uomo che indossa scarpe di un paio di numeri più piccole delle mie.

Infine, la richiesta di oggi è quella che giunge direttamente dal grande capo e riguarda un paio di piante per il nostro ufficio. Che chic. Fantastico. D'ora in poi dovrò anche badare a degli stupidi vegetali. Non è detto che l'ossigeno che producono ci giovi. Potrebbe anzi stordirci. Speriamo almeno non siano pelosi.

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mercoledì 21 marzo 2007

La primavera dell'impiegato

E' arrivata la primavera anche qui.
Qui al canile c'è voglia di ridere, di scherzare, di abbaiare festosi ad ogni macchina che passa per la strada, ad ogni squillo del telefono. I rumori di trapano che sentiamo provenire dal seminterrato non ci disturbano, anzi sono simpatici diversivi. A pranzo si chiacchera festosi. Si lanciano idee. Proposte di andare al centro commerciale in pausa pranzo. Non sembra così male, e poi o quello o niente. Le impiegate hanno vestiti leggeri, gli impiegati i capelli tagliati di fresco. Qualcuno è già abbronzato. Le Lampade UVA già splendono.
Qualche starnutino, ad indicare che ci si veste già leggeri anche se non sarebbe ancora il tempo. Il cibo della mensa è buono, i sapori più freschi, la frutta più colorata. C'è già chi pensa di pranzare con un gelato. Scattano le diete. Da lunedì.
Si organizzano riunioni. Nuovi ospiti che parlano nuove lingue. Primavera international.
Si parla già di ferie estive. Scattano le prime ansie dove andrò-con chi-prenoto il volo-sento gli amici. E prima ancora, ventagli di possibilità per il ponte del primo maggio. Primo maggio su coraggio che è quasi estate. Intanto, il capo va in ferie per una settimana e noi ci freghiamo le mani. Si fa gruppo. Gruppo di cazzeggio.
Qualcuno ci chiama per fare colloqui. Qualcuno che ha deciso di rispolverare quel vecchio CV inviato mesi fa. Decidiamo di andare, chissà che roba è. Chi si ricorda.
Gli allegati che ci mandano i colleghi sono meno noiosi del solito. Basta con le catene sull'amicizia, con le stronzate sugli uomini. Si ride con la "Telenovela Piemontese" di MaiDireTV. Si ride davanti al PC fregandosene di chi ci sta davanti.
I nostri blog sono meno accartocciati su loro stessi, si aprono leggermente al mondo esterno. Piccoli accenni di speranza, l'auto-referenzialità è roba invernale. Quasi quasi meglio una passeggiata che aggiornare. La patina dell'inverno spazzata via dai template, che sbocciano con una nuova grafica.
La noia è sempre in agguato, brutta bestia. La scacciamo dandoci da fare. Ci preoccupiamo di far vedere che siamo indaffarati. E' primavera: l'immobilismo non è concepibile. L'eterno mestiere di far apparire ciò che facciamo più impegnativo di quel che è. Roba che non si insegna. Roba che si impara col tempo. A questo proposito, ho visto cose che mai avrei creduto.

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martedì 20 marzo 2007

Vendetta tremenda vendetta

Sono ancora qui che penso a come sfogare tutto l'astio verso la collega ipocrita convogliandolo in una serie di ingannevoli consigli sentimentali che potrebbero danneggiarla anzi che no.
Ho deciso. Contrariamente a quanto teorizzai lucidamente -qualche post fa- in merito a ciò che pensano davvero gli uomini, le rifilerò una serie di sdolcinatissimi e pericolosissimi consigli da amica, cui lei certamente abboccherà come un triglione, vinta dal desiderio disperato di sentirsi dire ciò che probabilmente ripete a se stessa tutti i giorni davanti allo specchio.
(Conosco i miei polli. Conosco le donne. Abboccherei anche io).
Di seguito, le migliori panzane sentimentali da me partorite. Tra parentesi, nel caso ce ne fosse bisogno, l'amara realtà. Se ne avete altre da suggerire, prendo appunti.
- ama più te che la sua donna ufficiale (chissà come mai allora non sta con te ma con lei, che dici? se la cosa ti tranquillizza comunque, è molto probabile che non ami nessuna delle due)
- lascerà presto la sua donna ufficiale per te (per me puoi aspettare anche dieci anni, sappi solo che le rughe non si arrestano)
- se non l'ha lasciata sinora è perchè certe decisioni non si prendono da un giorno all'altro (l'ipotesi più plausibile è che ci sia in ballo una questione di soldi)
- se ultimamente si fa sentire poco, è perchè non vuole trascinarti in una situazione complicata (con ogni probabilità si è rotto le balle anche di te)
- anche se ha avuto altre amanti oltre a te, tu sei quella più importante (cioè mi vuoi dire che dalla tua parte non hai nemmeno l'elemento-sorpresa del rapporto clandestino, perchè lui è un veterano del sotterfugio? ma cara dove pensi di andare?)
- ciò che devi fare per far sì che lui scelga te è cercare di essere presente il più possibile: stagli vicina, fagli delle improvvisate in luoghi insoliti, chiedigli in continuazione di vedervi, possibilmente piangendo. (se c'è un tentativo disperato che puoi fare, è questo: non cercarlo, non chiamarlo più, evita i luoghi che frequenta come la peste, sperando che lui senta la mancanza o almeno gli si risvegli un po' d'orgoglio maschile, un po' dei gelosia o che so io. E' possibile che il teorema di Ferradini (prendi un uomo/trattalo male) riservi un pietoso corollario applicabile ai casi disperati come il tuo e che ti vada bene. Sappi però che questa tecnica garantisce risultati solo nel 5% dei casi. Sono i casi in cui lui aveva già deciso tutto prima e aspettava solo di vedere se gliene capitava una meglio: non trovandola, ha risolto di mettersi definitivamente con l'amante.)

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Ultima spiaggia Tengi

Ricordate quella collega che con largo anticipo prenotò la mia persona come compagna di stanza al prossimo meeting aziendale? Si, proprio lei, quella stilosa, quella perfetta, quella per la quale mi facevo tante menate sentendomi inadeguata sotto molti aspetti (fisico, guardaroba, sex appeal... no, beh, quello no)?
Ebbene, durante un piacevole viaggio in metropolitana scopro dalla collega che si occupa di organizzare l'evento che la mia futura compagnuccia di stanza le ha scritto una mail anticipando che io e lei avremmo fatto coppia fissa. La mail però, piccolo particolare, terminava con una richiesta del tipo "nel caso però in cui fossero disponibili camere singole, ti prego di tenerne una per me, in ogni caso."
Traduco la mail perchè a me per chi non parla l'impiegatese: "Cara organizzatrice, io voglio andare in singola sebbene non conti una cippa in questa azienda, perchè mi sento molto figa. Se ciò non fosse possibile, vedendomi costretta ad una scelta tra una bouquet aziendalizio di scarso interesse, scelgo come ultima spiaggia la Tengi".
Attimo di rilfessione.
Bah, il fatto di sentirmi sfruttata direi che non mi scolvolge granchè. Del resto, come già dissi, meglio lei che qualcun'altra, per molti versi.
Piuttosto, il fatto di essere l'ultima spiaggia per una che per motivi a me sconosciuti si sente chissachi ma in realtà non è nessuno mi dà da pensare. Sto bassa a quotazioni aziendali, a quanto pare. Devo assolutamente trovare il modo per rivitalizzare la mia immagine. Forse un bello scandalo. Si, aumenterebbe la mia popolarità. Andata.
Per quanto riguarda lei, oh, beh, non penserà certo di passarla liscia. Credo che non mi laverò per una settimana prima del lieto evento. Dopo averla stordita con i miei afrori paradisiaci, penso che mi prodigherò per consigliarla adeguatamente circa i suoi problemi amorosi, che conosco sin nei minimi dettagli.
In ogni caso, nessun consiglio potrebbe danneggiarla quanto dirle "cara, devi essere te stessa! Sempre e comunque!".

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lunedì 19 marzo 2007

Delusioni del lunedì

In attesa di decidere quale sarà la stazione della metropolitana che per prima accoglierà un segno del mio passaggio (vedi post precedente), mi trovo a fare i conti con una delle peggiori delusioni aziendali possibili.
Ovvero, quando parli per molto tempo al telefono con un collega che sta in un'altra sede: ci lavori, ci ridi, ci scherzi, scoprendo pian piano dall'altra parte della cornetta una persona aperta, solare, insolitamente umana.
Quando la voce è calda e profonda, con un lievissimo accento che se fosse più marcato ti farebbe rabbrividire, ma in questo caso no, perchè si accompagna a un modo dolce di porgere le parole.
Quando immagini l'aspetto di questo collega: proiezione inevitabile del resto, sai che non sarà giovanissimo data la voce, ma sempre data la voce te lo figuri impostato, forte, con un sorriso largo e gentile.
Quando finalmente lo vedi di persona.
Quando ti trovi davanti a una formichina d'uomo, la testa a pinolo e un fisico da fantino.
Quando constati che la voce è quella che sentivi al telefono eppure c'è qualcosa che non va: le due immagini, quella reale e quella della mente, non corrispondono neanche lontanamente.
Quando non riesci a mascherare la delusione nel stringergli la mano.
Quando l'unica cosa che ritrovi della persona che immaginavi sono due occhietti vispi e sinceri, che ti fanno in fondo pensare "no, non mi ero sbagliata".

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Segni

Una mattina qualunque, nell'interrato metropolitano della milanese linea verde. Il display luminoso in alto indica "2 minuti". Ci sono io, e poi ci sono tante persone. Un quadretto intitolato "l'attesa". Soliti personaggi di contorno, ormai non ci si fa neanche più caso: abiti grigi, valigette, orologi, sciarpe, paltò. Solito sfondo di cartelloni pubblicitari, e pareti lucide. Appoggio la schiena ad un cartellone. Sento che mi rilasso eccessivamente, piccolo colpo di reni e mi tiro su. Giro la testa: una bocca enorme, quella del manifesto, a venti centimetri dal mio viso. Su un incisivo della grande bocca, noto distrattamente uno scarabocchio. Mi avvicino e guardo meglio. Una scritta. A penna. Tratto sottile.

Devi cambiare la tua vita.
Arriva il treno. Mi allontano dalla scritta continuando ad osservarla finchè non sparisce. Salgo in metropolitana a testa bassa. Pavimento di gomma.
E' un segno. E' per me. Qualcuno mi vuole dire qualcosa. O meglio, qualcuno vuole confermare ciò che penso ogni giorno, ogni ora, ogni istante.

Sposto lo sguardo su un uomo seduto, dagli occhi pieni di sonno. Che stupida che sei, Tengi. Non è un segno. Non è per te. In una città di due milioni di persone, la maggiorparte insoddisfatte e prigioniere dei sotterrani della metropolitana sin dal primo mattino, una scritta come quella non è un segno del destino. E' semplice constatazione. Piantala di pensare di avere un riflettore puntato addosso, è solo lo scherzo di un burlone, un sadico che si diverte a mettere le pulci giuste nelle orecchie sbagliate, le orecchie di chi non seguirà mai il consiglio, te compresa.

Decido consapevolmente che provvederò al più presto a restituire il favore. Da domani una piccola penna e il favore delle tenebre mi aiuteranno a comporre piccoli segni del destino sui manifesti della metropolitana. Che si illudano un po' anche gli altri, che diamine.
è ora di lasciarti andare
segui il tuo cuore
pensa positivo
devi lasciarlo e lo sai
non puoi continuare a mentire a te stesso

Se li trovate, sappiate che ce li ho messi io. O, se vi par più bello, che siano segni del destino.

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venerdì 16 marzo 2007

Salve, sono Brutus e cazzio tutti

Il nostro receptionist è un omone grande e grosso. In netto contrasto con la sua possanza fisica, presenta dei modi di fare leggermenti effemminati, un passo leggero e un insolito tocco aggraziato nell'eseguire ciascun tipo di mansione, dai lavori di forza sino alle più certosine minuzie, come la pulitura dei filtrini del rubinetto.
Ha dato una grossa mano in questa fase di trasferimento di sede, aiutando le maestranze senza risparmiarsi. Nelle ultime settimane lo potevi vedere tutto sudato per i corridoi intento a trasportare di qua e di là sedie, scatoloni, portaombrelli, computer.
Il bello è che gli chiedi una cosa: attaccapanni, cestini della carta straccia, e dopo cinque minuti lui te la porta tenendola sollevata per aria, manco fosse Hulk e l'avesse appena estirpata per te dal prato dove crescono gli oggetti d'ufficio, fresca fresca e ancora con le radici attaccate.
Ma se c'è una cosa che lo contraddistingue è il suo talento nel riuscire a mantenere le cose e le persone al loro posto. Tipico esempio di adattamento alla vita d'ufficio, è praticamente convinto che la sede aziendale, le scrivanie, i complementi d'arredo, le macchinette del caffè e anche gli impiegati, siano ormai roba sua.
E così passa le giornate a cazziare la gente, attività del resto doverosa e di vitale importanza, negli ambienti lavorativi eterogenei. Incurante delle gerarchie aziendali, si presenta con la sua mole di fronte all'interessato, sovrastandolo e facendogli ombra col suo pancione, e attacca una filippica infinita su questa o quella questione. L'ho visto cazziare i colleghi più giovani sul corretto uso della macchinetta del caffè con cialde, i colleghi più grandi sul corretto uso del fax, e qualche giovane pulzella perchè si era fregata una o più sedie che dovevano stare là e invece lui le ha trovate di qua e la cosa non va bene perchè ogni cosa a suo posto.
Proprio mentre scrivo è al telefono e sta cazziando il fornitore delle macchinette distributrici perchè oggi non s'è presentato a installare quella per i gelati.
Credo che Brutus dei gelati ne faccia una questione personale.

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Top Ten Arti&Mestieri

Se non lavorassi in ufficio vorrei essere:
  • una croupier al tavolo del Black Jack, tra fiches e tappeti rossi
  • una restauratrice di vecchie cassapanche, tra polvere e mordenti
  • uno di quelli che doppiano i filmati di Paperissima, tra vocine del tipo "Ochettaaaa? Siiiii? Voglio stare cu' tte, visciniii visciiini"
  • una Wedding Planner, tra tulle e bomboniere su sfondo di giardini con gazebo
  • un'attrice comprimaria nelle serie TV, tipo Karen in "Will&Grace", in bilico tra monotonia e creatività
  • una disegnatrice di copertine dei libri, tra matite e programmi di grafica
  • una Iena, di quelle che vanno alle conferenze stampa a baciare George Clooney, tra giornalisti che ti guardano male e quotidiano menefreghismo
  • un'insegnante di corsi per dirigenti aziendali su come parlare in pubblico/avere fiducia in se stessi, tra scetticismo e professionalità
  • una traduttrice di romanzi erotici, tra noia e curiosità
  • una deejay da balera, tra uomini di mezza età e brani nostalgici
  • un'Hostess, tra uomini d'affari e turisti in bermuda
  • una guida ai musei, tra giapponesi a tappe forzate
  • un'intervistatrice della gente comune, tra piccole scoperte e grandi verità

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giovedì 15 marzo 2007

Un presidente operaio

Tutte le mattine, o quasi, il nostro Amministratore Delegato prende la navetta aziendale insieme a noi.

Lo vediamo arrivare da lontano, Lui, Figlio del Grande Burattinaio che tutto regge e tutto sa, mentre percorre con passo leggero la lunga banchina della metropolitana. Lui, che si è fatto Uomo allo scopo di scendere in mezzo a noi, sue percorelle smarrite, a indicarci la via.
E insolitamente sale sulla navetta, si siede vicino a noi, apre il giornale; e noi con stupore notiamo che le sue mani hanno vene, i suoi capelli hanno morbide increspature, il suo corpo ha consistenza materiale.
O gioia, o gaudio!

E quando c'è Lui nella navetta regna un'insolita ilarità: ciascun sottoposto si sente in obbligo di mostrarsi allegro e gioviale, si sente in obbligo di scherzare col compagno, alzando la voce. A dimostrare che il mondo che Lui ha creato per noi e nel quale noi viviamo, triboliamo, soffriamo e amiamo, è davvero ciò che sognavamo, l'Eden, la Terra Promessa.

Proprio ieri Lui ci ha raccontato la Parabola del pilota d'aereo.
Lui era seduto in mezzo a noi, e ha notato come la navetta fosse piena di impiegati, tanto che un paio di noi, contravvenendo alle regole di sicurezza, hanno dovuto sedersi per terra. Vedendo ciò, Lui ha rammentato un episodio della sua vita quando, da giovane, amava volare su piccoli bimotori. Durante uno di questi voli, vi erano delle persone costrette a sedere per terra. Alla fine del viaggio Lui scoprì che uno di questi uomini seduti per terra era proprio il pilota dell'aereo. Alla Sua preoccupazione per il fatto che proprio il pilota non fosse al suo posto, il pilota rispose con queste parole: "Ho lasciato il posto al mio secondo, affinchè impari a pilotare l'aereo senza di me al suo fianco."

Tutti noi Discepoli abbiamo annuito dopo aver udito questa parabola, perchè è cosa buona e giusta.
Eppure io, discepola di poca fede, so di avere il cuore colmo di dubbi.
O mio Maestro, mostrami la strada.
Il mio animo è angosciato, perchè ciò che osservo ogni giorno nel mondo che Tu hai creato per me mi porta a credere che in verità, ora e forse per sempre, di solo pane viva l'Uomo.

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mercoledì 14 marzo 2007

Tengi is on line

Mi dà una certa ebbrezza il fatto di scrivere ora e in diretta, alle quattro del pomeriggio, qui nell'ufficio pieno di gente.
Negli ultimi tempi, il fatto di avere molto da fare al lavoro insieme al desiderio di essere comunque presente su Pezzi con nuovi post ogni giorno da dare in pasto a voi, belve assetate di Fatti d'Ufficio, mi ha costretto in più di una occasione a scrivere in bozza dopo l'orario di lavoro, con calma e a casa, per poi postare la mattina dopo le ultime correzioni.
Oggi invece mi sono trovata impreparata. Checché se ne dica, anche noi giovani donne blogger abbiamo la nostra vita sociale. Per cui ieri sera ho preferito darmi ad altro anzichè scrivere un post, sebbene gli argomenti non manchino.
Prometto che non lo farò più.
E ora sono qui, presente, che mi tiro le dita in ufficio. Ho fatto quello che dovevo fare, e sono in attesa di feedback, come si suol dire in gergo impiegatizio. Evito accuratamente di farmi la mia solita vasca in corridoio in quanto ormai sono riconoscibile per i miei colleghi dal rumore dei tacchi, e ogni volta che passo rischio di essere chiamata da qualcuno chi mi vuole appioppare l'ennesimo cetriolo.
Per cui me ne sto qui, con voi. Che bello. Ecco i miei fatti del giorno:
  • Ho visto Pasticcino in maniche di camicia che si dava ai lavori manuali - momento topico della giornata;
  • Ho avuto una riunione cui era presente il Sedere più Bello dell'Azienda, che non è quello di Pasticcino, benchè se la giochino - momento erotico della giornata - il problema è che ho dovuto anche parlare con la persona che si porta appresso cotanto sedere;
  • In ufficio fa un caldo bestia e si suda, per cui sono in maglietta a maniche corte - momento erotico della giornata per i miei colleghi;

Mi sa che scendo a farmi un caffè al sotterraneo, dove so che c'è Pasticcino. Invito anche la collega, per testare se lui guarda più me o lei. Innocente Passatempo d'Ufficio. Vi faccio sapere.

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martedì 13 marzo 2007

Buona camicia a tutti

Lo Scoop d'Ufficio di oggi è: una delle segretarie ha trovato il moroso.
Lei, quella meno attraente tra tutte le segretarie.
Lei, quella dedita esclusivamente alle attività della sua chiesa e alle sue nipotine.
Lei, quella più rigida e timorosa di tutte.
Lei, quella che la faccia è fissa in una perenne espressione di basito stupore.
Lei, quella che "ma guarda come si veste".
Lei, quella che le chiedi se ha una graffetta ed entra in crisi.
Lei, quella che "ormai è fuori tempo massimo".
Lei, quella che non sa usare il computer.
Lei, quella che la docking station la chiama playstation.
Lei, quella che stampa tutte le mail che le arrivano perchè così le hanno insegnato.
Lei, quella che ormai avrà disboscato l'Amazzonia con le sue stampe.
Lei, quella che "sembra mia nonna".
Lei, quella che "mi sa che non si depila".
Lei, quella che "si mette sempre quegli schifosi mocassini".
Ebbene lei, ha trovato il moroso.

Li hanno beccati in pausa pranzo, lui che l'abbracciava e lei che si lasciava abbracciare. Proprio lei, quella che "ha avuto solo un fidanzato dieci anni fa, forse è ancora illibata, ha-ha".

Alla facciazza delle colleghe fashion victim che hanno quattro fidanzati che messi insieme non fanno uno straccio d'uomo.

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lunedì 12 marzo 2007

La calunnia è un venticello, un'auretta assai gentile

Ovvero, dello spettegolar stupido e poco divertente.

I componenti del mio nuovo gruppo di lavoro amano il cicalar acido e sommesso, in pausa pranzo.

E davanti agli ottimi piatti della mensa, me presente, navigando a vista ma sapendo benissimo dove vogliono arrivare, amano dirigere l'argomento della conversazione lungo la rotta delle difficoltà quotidiane che incontrano nello svolgimento delle loro stupide mansioni, col risultato di approdare inesorabilmente alle rassicuranti spiagge dell'invettiva spietata nei riguardi di questo o quel collega.
L'invettiva è monotematica: sempre incentrata su grevi argomenti lavorativi e giammai personali (scadenze non rispettate, imprecisioni, ecc), nel tentativo inutile quanto beota degli accusatori di dimostrarsi seri e professionali persino nel classico gioco della malignità infra-aziendale.
L'invettiva non fa ovviamente nomi né cognomi: tuttavia essa è facilmente riconducibile all'oggetto di calunnia, dacché viene accompagnata da veloci movimenti della forchetta atti a segnalare l'ignara vittima della requisitoria, che spesso si trova nel tavolo a fianco.
L'invettiva si dipana in un ciarlare fitto e sommesso: il tono della calunnia si accompagna ad una pesantezza mai udita, come se da essa dipendesse il futuro dell'azienda. Per quanto sommessi, gli insulti giocoforza giungono alle mie orecchie, che mi trovo a circa 30 centimetri dalla sorgente sonora (leggesi bocca ciarlante che da troppo tempo non conosce altro uso della lingua che non sia quello di ghiandola secernente veleno).

Di fronte a tutto ciò, la Tengi rassegnata scuote la testa, nel constatare quanto queste persone adulte e vaccinate, con uno stipendio da urlo, siano ancora impreparate sui fondamentali, che riporto per compassione.

Regola dell'esclusiva: Quando si decide di spalar fango contro qualcuno, è consigliabile farlo assicurandosi che non siano presenti terzi i quali, di fronte a tanto livore, potrebbero presagire che un giorno o l'altro toccherà anche a loro, e decidere di prendere le proprie contromisure preventive.
Pertanto, se devi sparlare dei colleghi, scegliti un compagno con cui farlo, uno solo. Sceglitelo fidato, e sincerati di essere tu a tua volta il suo compagno unico. Non sceglierne due: potrebbe accedere che facciano combutta tra di loro escludendoti, e che un giorno si chiedano come mai si siano sempre astenuti dallo sparlare di te, che offri così tanto materiale in proposito.
Di nuovo sparlate da soli, mai alla presenza di terzi. Mai, mai. I terzi potrebbero prendervi per stronzi, se sono persone serie, o semplicemente per babbei, se sono persone normali.

Regola della leggerezza: I miei colleghi, gente tanto intelligente sul lavoro quanto ottusa sul resto, ama, anche nel cicaleccio vacuo, insultare le persone per quello che combinano sul lavoro. Ma la sparlata su temi di incompetenza/imprecisione/dabbenaggine lavorativa, si sa, non ha appigli oggettivi. A volte, frequentando alcuni colleghi considerati degli incompetenti sulla base di prove indiziarie, si scopre che in realtà non lo sono per nulla.
Pertanto, se devi sparlare, sparla su temi frivoli e disimpegnati, come tic, vezzi, aspetto estetico, modo di camminare… Unghie sporche, capelli unti e brutte scarpe sì che sono metri di giudizio oggettivi, sulla base dei quali stilare una serie di interessanti e divertenti classifiche. Bando alla noia.

Regola del chi è senza peccato: Evitate in generale, sul lavoro, di addossare colpe, processare chi è senza difesa, sentenziare. Nessuno di noi è senza peccato, lavorativamente parlando. Tutti abbiamo qualche scheletro nell'armadio dei faldoni. L'unica differenza sta nella velocità con cui a suo tempo riuscimmo ad occultare il cadavere all'insaputa del capo, incastrandolo nell'ultimo cassetto della scrivania o infilandolo nel bagagliaio del primo stronzo che passava di lì.

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venerdì 9 marzo 2007

Cetriolo 2.0

Ho avuto un incubo a base di 2.0.
Dopo la giornata di ieri, non riesco più a non pensare al 2.0.

I nuovi concetti 2.0 mi hanno talmente permeato, che ora mi sento parte integrante di una rete sociale. Mi guardo intorno in metropolitana, e percepisco i fili invisibili che legano me ai miei compagni di viaggio. Fa niente se non ci conosciamo e se non perdiamo occasione per trattarci male, pestandoci gli alluci e piantandoci i gomiti nelle reni l'un l'altro, spintonandoci per uscire dalla metro alla fermata di Cadorna F.S. Fa niente, perché non appena saremo ognuno col naso davanti al proprio PC, ciascuno nel proprio ufficietto o nella propria stanzetta, ecco che i nostri rapporti si rinsalderanno attraverso la condivisione di un My Space, di un Blog, attraverso il Web 2.0. Avremo voglia di frequentarci, di stare insieme, di condividere in una realtà virtuale 2.0. Ci staremo simpatici. La simpatia 2.0.

Dice poi che c'è questa nuova piattaforma, nata come un gioco di ruolo, ma che si è sviluppata in molteplici direzioni, come un scheggia impazzita. Si chiama Second Life. Ecco, questa novità mi ha davvero stupita. Stupore 2.0. Praticamente ti iscrivi, ti crei un nome, un'immagine, ti scegli i vestiti, la dimensione ottimale per le tue tette, la casa ideale, i mobili ideali, e magari anche un fidanzato ideale (finalmente 2.0!). E da lì inizi a giocare, agisci, interagisci con le persone che stanno in questo mondo virtuale. Non vi preoccupate - dico alle donne - anche là si potrà fare shopping. Me l'hanno garantito. Altrimenti sarebbe stata inutilità 2.0.
Second Life mi incuriosisce. Con una seconda identità a disposizione potrei finalmente uscire dall'ufficio e provare a fare quello che avrei sempre voluto fare. Potrei scoprire se c'ero tagliata oppure no. Eviterei una vita di rimpianti. Mai più domande come "cosa sarebbe successo se avessi accettato quel master all'estero, avessi investito in quell'attività, mi fossi concessa una liposuzione?" Insomma, scoprirei che razza di persona avrei potuto essere!
E se scoprissi che dentro di me c'è una potenziale donna di successo, Second Life potrebbe darmi il coraggio di tentare anche nella vita reale, forte di una preventiva conferma nel mondo virtuale.
Oppure potrei sempre e comunque dare spazio alla fantasia, esplorare, per sentirmi meno frustrata e infelice, durante quelle ore di gioco a "second life". Che diventano le ore di qualità della vita, le ore 2.0.
Certo, nessuno ti spiega cosa devi fare se la tua Second Life comincia ad andare di merda, tanto quanto se non di più della tua First Life. Immagino che da una merda 2.0 scatti una depressione 2.0. Saranno necessarie delle sbronze 2.0.
Serviranno Vodka Lemon 2.0 su Second Life?

Dice anche che i Blog e You Tube possono essere usati dalle aziende. Condivisione aziendale 2.0. Fico. Peccato che nella mia azienda c'è solo una intranet, ancorata saldamente alla versione 0.5. A onor del vero, essa contiene anche una innovativa sezione bacheca annunci, che non usa nessuno. Nessuno 2.0, che fa sempre nessuno. Peccato. A volte ho la tentazione di testare se almeno qualcuno ci va ogni tanto, inserendo un annuncio alla voce "personali" che recita: "Impiegata offre prestazioni 2.0 a colleghi dotati di attributi 2.0. Telefonare ore pasti."
No, niente da fare. Nella mia azienda non c'è la cultura per queste cose 2.0.

Dice infine che "Siamo più forti insieme di quanto potremmo esserlo da soli". Poi però non ti spiegano: più forti per cosa? Per sconfiggere un mostro finale 2.0? Per sollevare il bilanciere in una palestra 2.0? Per saperne di più sul riscaldamento globale 2.0?

In una cosa però siamo più forti, se siamo insieme.
Insieme, grazie alla condivisione globale, riusciamo a prendere meglio i cetrioli del venerdì 2.0. I cetrioli della nuova versione 2.0 sono infatti insidiosissimi perchè, frutto di innovazione, si presentano all'impiegato con delle features aggiuntive.

Io la mia cetriolata 2.0 me la sono presa un po' di tempo fa. Era servita dal capo di allora su un letto di menefreghismo e noncuranza, impiattata neanche tanto bene, scondita. Ci ho pensato poi io a condirla col sudore della fronte e a insaporirla con una spruzzata abbonante di ansia.
Accadde di venerdì. La feature aggiuntiva della nuova versione 2.0 era la trasferta. Dovetti partire il lunedì seguente. Rimasi fuori casa per quattro settimane.
Era davvero un cetriolo 2.0.

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giovedì 8 marzo 2007

Ti regalerò una mimosa

Ti regalerò una mimosa, o impiegata maliziosa,
che ancheggi per i corridoi con la tua gonna di viscosa,
che senti addosso gli sguardi nella stanza popolosa,
che non ti curi dell'ostilità della collega invidiosa.

Ti regalerò una mimosa, o impiegata laboriosa,
che giudiziosa spendi la giornata in una ricerca affannosa,
che hai fede nell'aumento che potrà farti meno ansiosa,
meditando che tra poco potrai concederti d'esser sposa.

Ti regalerò una mimosa, o impiegata spiritosa,
che spezzi la monotonia con una voce vezzosa,
che rendi la giornata dei colleghi più gioiosa,
la chioma vaporosa e per nulla vergognosa.

Ti regalerò una mimosa, o impiegata fiduciosa,
che, qualunque sia la mansione, per te è dignitosa,
che spieghi a noi il senso di una vita speranzosa,
noi che scopriamo che la felicità è nella tua anima silenziosa.

Ti regalerò una mimosa, o impiegata incazzosa,
(mi chiedo invero cosa sia che ti fa così altezzosa
nel procurar alla tua azienda contratti a iosa)
e porterò il consiglio della mamma che trascuri: riposa.

Ti regalerò una mimosa, o impiegata sonnacchiosa,
a te che la carriera ti lascia un po' dubbiosa,
a te che la ventiquattrore par roba pretenziosa,
per te che la famiglia è davvero l'unica cosa.

A voi tutte compagne mie.
Non la solita rosa di una canzone noiosa.
Oggi ci vuol davvero una mimosa.
La stimo sopra tutto una cosa doverosa.
Vi giungerà per mano di un'amica premurosa.

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mercoledì 7 marzo 2007

Di necessità virtù

Domani mi recherò alla giornata di esposizione di un importante partner tecnologico della nostra azienda. Ora, tale evento non suscita in me particolare interesse, se non per il fatto che almeno per un giorno potrò uscire dal canile, con la concreta possibilità di defilarmi in uscita prima del termine della giornata lavorativa canonica e riparare a casa prima del vespro.
Senonchè, leggendo il programma della giornata, vado a scoprire che nel pomeriggio è prevista una serie di workshop interattivi dedicati ai nuovi mezzi di comunicazione e aventi come oggetto il Web 2.0, qualunque cosa esso significhi (se qualcuno me lo spiega anzi mi fa un favore...).
Spulcia spulcia e leggo che si parlerà di cosine molto interessanti, tra cui You Tube, My Space, nell'era del "personal publishing". Tra i vari inglesismi di cui sono infarcite le presentazioni, mi è parso insomma di capire che si parlerà anche di blog, tanto che uno degli interventi sarà tenuto da un famoso comunicatore che imperversa anche nella blogosfera.
Piatto ricco mi ci ficco. Che sciccheria: questo evento, oltre ad evadere dall'ufficio, mi darà anche l'opportunità di saperne di più sul tema che più mi avvince durante le mie giornate lavorative. Mi sento quasi in debito verso la mia azienda. Ho detto quasi.
Il difficile sarà trovare una scusa per smollare i colleghi e andare ad ascoltare gli interventi in santa pace.

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martedì 6 marzo 2007

Pubblicità Regresso

Stamattina sfoglio uno di quei diffusissimi quotidiani gratuiti che alcune benevole organizzazioni filantropiche amano distribuire a tutte le fermate della metropolitana.

Ebbene, vedo una pubblicità. Una pubblicità costituita da due immagini: l'immagine di sinistra presenta un bell'uomo, un fotomodello presumo, travestito da impiegato, che ammicca sornione all'obiettivo aggiustandosi un polsino. La didascalia sottostante recita: "Adoro le riunioni improvvise dall'altra parte della città".
L'immagine di destra mostra il suddetto impiegato a bordo del nuovo modello di motoscooter della Y*plin*a, felice come una Pasqua del siluro che gli è appena arrivato dal capo perchè può finalmente sfruttare tutti i cavalli del suo potente mezzo scorrazzando per le strade deserte di Milano alle 11 del mattino.

Allora. In questo caso, così come per quello slogan passato alla storia e che banalmente sentenziava "la patata tira", mi sono ritrovata a fantasticare su come potrebbe svolgersi la riunione di creativi durante la quale il creativo di turno ha il compito di presentare ai colleghi e al Cliente la campagna pubblicitaria da lui studiata per il lancio del prodotto.
Creativo di turno: "Ecco io, per raggiungere l'ampio target dei dipendenti sfigati, l'ho buttata sul ridere, incentrando la campagna sulla possibilità di ironizzare simpaticamente sui siluroni che contraddistinguono l'attività impiegatizia, suggerendo quindi un metodo infallibile per superare il senso di alienazione e di impotenza: comprarsi questo scooter." E tutti: "bravo, bravo, approvato, che idea, ci piace".

Caro creativo.
Lascia che te lo dica.
Hai scazzato di brutto.
La prossima volta chiedi a me, prima di avventurarti in territori a te sconosciuti.
Primo: gli impiegati non sono così boni come il modello della foto. Secondo: gli impiegati non ironizzano sulla propria condizione in modo così sottile e filosofico. Terzo: di fronte a pubblicità di questo tipo alle 8 del mattino, agli impiegati girano ancora di più i maroni; inutile dire che il tuo scooter non lo comprano manco morti, perchè gli impiegati sono bastardi e vendicativi.

Pertanto.
La prossima volta interpellami.
Ti presto il mio volto per una nuova pubblicità.
Visualizza come sarà: nell'immagine di sinistra ci sarò io, in primo piano, atteggiata all'espressione più beota di cui sono capace. E ne ho una svariata gamma, devi solo scegliere.
Non ci sarà bisogno di travestirmi da impiegata, perchè io sono un'impiegata.
La didascalia sotto la mia foto reciterà: "Adoro i "cetrioli" che il mio capo mi rifila alle 5 del pomeriggio del venerdì!"
Il mistero di tanta insensata ilarità sarà subito svelato dall'immagine di destra, dove ci sarò io che sorridente tengo in mano un vero cetriolo, recante il bollino di qualità del tuo Cliente, e che me lo rimiro con aria soddisfatta e atteggiamento beffardo, oserei quasi dire con atteggiamento di sfida.

Il senso del messaggio pubblicitario sarà tutto racchiuso in quello sguardo, malizioso e al contempo sprezzante, che si fa beffa del senso di alienazione ed impotenza che contraddistingue la vita impiegatizia, perchè ha finalmente trovato la chiave ironica per accettare di buon grado i cetrioli del capo.

Vedrai che successo. E se di venerdì ti rompono le palle, prova anche tu col cetriolo.

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lunedì 5 marzo 2007

Houston abbiamo un problema

L'essere parte di una delle famiglie aziendali "che contano" ha innegabilmente i suoi vantaggi, tra cui la possibilità di partecipare al celeberrimo meeting.
Il meeting annuale, che si svolge all'avvenuta chiusura del bilancio, ha lo scopo di presentare i risultati raggiunti nel corso dell'anno a tutti i sottoposti che hanno contribuito al successo aziendale.
In realtà è risaputo che lo scopo vero del meeting è quello di assecondare il risveglio primaverile degli istinti impiegatizi per mezzo di un simpatico ritrovo in ambiente bucolico, permettendo così ai sottoposti di percepire appieno il richiamo della natura, respirare aria buona, sentir cantare gli uccellini, trascorrere qualche ora serena, affinchè possano ricordare a se stessi, allora e per sempre, o almeno sino all'arrivo delle vacanze estive: "Si, sono ancora vivo: mi pareva di no, e invece si. Grazie."
Per il meeting di quest'anno, i grandi capi apriranno i recinti del canile aziendale ad una selezione scelta di esemplari, di cui pare farò parte, per un paio di giorni. Ci porteranno in un'amena località marittima e lì ci toglieranno i guinzagli, lasciandoci liberi di scorrazzare per i prati a sgranchirci le gambe. Ci lanceranno qualche legnetto e noi lo rincorreremo felici, ansiosi di acchiapparlo al volo per poi riportarlo al padrone. Al termine della gita, saremo ben felici di rientrare in canile, tutti scodinzolosi e grati al nostro padrone per la magnanimità dimostrata.

Ora, sappiate che tra le file impiegatizie dei fortunati invitati serpeggia sin da ora una certa fibrillazione per l'evento, il che è comprensibile data la monotonia che contraddistingue le giornate qui al canile.
Nello specifico, c'è già chi pensa a problematiche delle quali sinceramente io ignoravo l'esistenza, tra cui la selezione del miglior compagno possibile per il pernottamento in albergo; pare che sia questione di vitale importanza, da cui dipende l'esito dell'intera operazione.
Un po' come ai tempi delle gite scolastiche delle superiori, quando tutti cercavano di prenotarsi per dormire nelle stanze "giuste", quelle dove ci si riuniva in 15 e si faceva casino, evitando come la peste le stanze dei secchioni, dove già alle 10 si dormiva.
E, proprio come alle superiori, scopro di essere gettonatissima, in quanto una collega, che peraltro non conoscono benissimo, mi ha già chiesto la disponibilità a dividere con lei la stanza d'albergo, con un'anticipo davvero sorprendente sulla data effettiva dell'evento.
Io ho subito accettato di buon grado, innanzitutto perchè credo che a stare in camera con la solita dirimpettaia potrebbe venirmi il latte alle ginocchia, e poi perchè pare che la mia futura roommate abbia una situazione sentimentale travagliatissima e incasinatissima e interessantissima, tanto che se le viene in mente di parlarmene (e lo farà) ci sarà da divertirsi e da trarne parecchi insegnamenti. E poi è simpatica.

Tuttavia, trascorsi 10 minuti dall'invio della mail di conferma, mi accorgo del guaio in cui mi sono cacciata. E realizzo che dormire con una collega comporta svelarle ogni minimo dettaglio relativo alla propria intimità, abitudini, toeletta, igiene personale, modalità di riposo notturno. Come elemento peggiorativo, la collega in questione è la più stilosa e fashion-addicted dell'intera azienda, e cura se stessa e il proprio fisico con una precisione da miniaturista del 1200. Ne concludo che non sono ammesse figure di merda: lo sputtanamento aziendale globale termonucleare intergalattico è dietro l'angolo.

Ci ho messo due giorni per elencare tutte le cose che dovrò fare, e ci metterò un mese a farle. Punto primo: selezione del guardaroba che si vede e anche di quello che di solito non si vede, come biancheria intima, pigiama, ciabatte.
Quindi mi toccherà abbinare la biancheria intima, per non fare la figura di quella che proprio in quei giorni ha fatto la lavatrice e ha la roba migliore stesa ad asciugare. Dovrò poi presentarmi con un pigiama degno, anziché la solita T-shirt contro-ogni-tentazione. Quindi eseguire opportuna azione preventiva contro l'insorgere di qualunque tipo di cattivo odore possibile e futuribile. Che ora come ora non dovrebbe comparire, ma si sa che le calde giornate long-lasting mettono a dura prova le ghiandole sudoripare.
E poi, a -3 giorni, non prima, scatterà la lotta al pelo superfluo, per non fare quella che si depila solo per andare al mare. Come minimo lei sarà glabra da 10 anni. E come se non bastasse, si presenterà di certo con il capello parrucchierato di fresco... che palle: mi sono infilata in un cul de sac senza possibilità di ritorno.

Comincio a pensare che dormire per la prima volta con una collega, imbarazzi a parte, sia peggio che dormire per la prima volta con un uomo: con gli uomini non è tutto 'sto casino.
Certo, noi donne ci teniamo comunque a far bella figura, ma senza che ce ne sia una reale necessità. In certe situazioni gli uomini son talmente accecati dai proprio ormoni che non si accorgerebbero di una peluria a livelli di Primate, di una ricrescita mostruosa o di mutande vergognosamente sdrucite.
Si certo, ci sono alcuni uomini che fanno i grandi e sostengono di essere acuti osservatori e di fare attenzione ai dettagli eccetera eccetera. Ma io sono convinta nel momento clou non noterebbero nemmeno la presenza del terrificante gambaletto color carne.
Per queste cose non c'è niente di peggio di una collega. Donna.

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venerdì 2 marzo 2007

Una furtiva lacrima

I viaggi in metropolitana possono essere sfruttati in molteplici modi: si può leggere un libro, ascoltare musica o entrambe le cose. In alternativa, se si ha compagnia, si può chiaccherare, discutere, confidarsi. A volte la circostanza di trovarsi in un vagoncino con centinaia di persone dà origine a situazioni o scenette che val la pena di osservare.
A volte in metropolitana nel tuo vagone puoi vedere qualcuno che piange. Magari non piange proprio, ma ha gli occhi rossi e lucidi, e sposta lo sguardo continuamente o sbatte le palpebre per cercare di ricacciare giù le lacrime e con esse il magone, l'angoscia, l'ansia per chissà che cosa.
Non puoi fare a meno di guardare, la tua curiosità si fa tenace e quasi morbosa, il desiderio insano di scoprire se la situazione esploderà in singhiozzi trattenuti o se il tutto rientrerà nei binari sereni del viaggio, della metropolitana, del "ci penserò domani".
Il mascara di noi donne sembra fatto apposta per colare, e gli occhi a volte sembrano più profondi e belli nel momento del pianto.
Quando qualcuno piange in metropolitana non puoi fare a meno di guardarlo.

Quando sei tu che piangi in metropolitana non ti importa se gli altri ti guardano.
E non te ne importa nulla anche se che sai di essere una calamita per gli sguardi altrui , anche se sai che gli altri sperano che le tue lacrime si facciano corpose, anche se sai che gli altri si chiedono chi o che cosa ti faccia soffrire a tal punto da piangere lì, in metropolitana, senza aspettare di arrivare a casa.
Ma chissenefrega. E' bello piangere in metropolitana. Nessuno ti conosce.
Questo è vero sempre, tranne quando i tuoi stramaledetti orari impiegatizi sono i medesimi stramaledetti orari impiegatizi di molti tuoi colleghi.
Fanculo. Non si può neanche piangere in santa pace in 'sta città di merda.

Di più non chiedo.

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giovedì 1 marzo 2007

Tema: la mia famiglia

Svolgimento: Il mio nuovo gruppo di lavoro è come una famiglia.

Ci sono la mamma e il papà, il nonno, c'è la sorella, c'è il fratello grande, e poi ci sono anche lo zio simpatico, e il cugino lontano, quello un po’ pazzo. E un altro fratello, che è il mio preferito e cui voglio molto bene, ma che abita lontano.
Lo zio simpatico c’è in tutte le famiglie. E' lo zio che frequenta la tua casa abitualmente, quello che apre la porta con sicurezza, e che si dirige subito verso la dispensa per vedere se c'è qualcosa da mangiare. Quando viene a casa io lo seguo con lo sguardo, restandogli a distanza, perchè penso sempre che prima o poi si mangerà anche i miei dolcetti.
Il cugino pazzo è quello che vedi una volta ogni tanto e quando meno te lo aspetti. Entra in casa tua come un uragano, portandosi dietro la sua follia e la sua confusione. Appena arriva tutta la famiglia si riunisce subito attorno a lui, perchè ha sempre qualcosa da raccontare e te lo racconta benissimo. Si siede sulla poltrona grande coi braccioli, e il resto della famiglia gli sta davanti, sul divano. Per l'occasione, si tirano fuori dall'armadietto i liquori.
Il cugino pazzo a me sta antipatico, anzi mi fa un po' paura. A volte non lo sopporto, e credo che si sia accorto che lo guardo in cagnesco. Non è colpa mia: io non capisco mai che cosa ha in mente. Quando mi saluta mi stritola le guance e mi fa male e la sua barba pizzica e mi viene una gran voglia di mettermi a piangere. Ma non lo faccio perchè la mamma mi sgriderebbe. Lui ha capito senz'altro che sono diffidente, però insiste a chiedermi tante cose e a voler giocare con me, ma io la mia collezione di fumetti non gliela faccio vedere.
Il fratello grande è molto attaccato alla sorella. Ho capito che in realtà la ama segretamente. Questo è per ora l'unico segreto della mia famiglia, l'unico almeno che io ho capito. Tutti lo sanno ma nessuno ne parla. E' così da tanti anni. Forse mamma e papà pensano che passerà col tempo, ma io credo di no.
Il fratello grande con me fa il saputello. E’ un po' antipatico e chiuso nel suo mondo. Gioca con le macchinine. Un paio di pomeriggi ha fatto giocare anche me, ma proprio quando stavamo iniziando a divertirci me le ha strappate di mano ed è scappato in cortile coi suoi amici, lasciandomi seduta sul tappeto del salotto con le gambe incrociate a guadare la porta, come una scema.
Il papà invece fa il papà, è un gran lavoratore. Lo vedo molto poco. E' molto serio, non si lascia mai andare a gesti affettuosi, ma tu sai che in fondo in fondo è fiero di te. Molto spesso ti lascia fare a modo tuo, ti lascia prendere le tue decisioni, ma ti fa capire che se hai bisogno lui c'è sempre ed è sempre pronto a darti una mano. E forse, anche a rimediare ai tuoi errori.
La mamma con me è un po' arida, ma i fratelli dicono che è simpatica e capace di tanto affetto. Non lo so perchè a volte è un po' isterica e ti tratta in modo sbrigativo e frettoloso, non ti guarda negli occhi e questo a me spiace. A volte mi chiama col mio nome ma solo se ha bisogno che scenda di corsa a prendere il latte che è finito. Credo che in fondo si comporti così perchè è come una leonessa: si preoccupa per la sua famiglia e la difende tirando fuori le unghie, e non ha tempo di giocare con noi. La mamma e la sorella si baciano sulle guance quando si vedono dopo essere state lontane per un po'.
E poi c'è il nonno, il patriarca, quello cui tutti si rivolgono per le decisioni importanti. Il nonno si avvale del papà come gran consigliere, perchè il nonno ha sempre qualcosa di più importante da fare. Io col nonno non ci parlo mai. Ci ho parlato solo una volta per telefono. E un'altra volta alla festa di Natale mi ha fatto un buffetto sulle guance. E' protettivo nei miei confronti e la cosa mi fa piacere. Anche se a volte mi spinge a fare delle cose che sono un po' troppo per me, mi fa saltare dai muretti molto alti. Ma io lo faccio lo stesso perchè non voglio deluderlo e voglio dimostrare che sono forte e coraggiosa. E se mi faccio male non piango davanti a lui.
E poi ci sono io. La figlia adottiva, quella arrivata da poco. I miei familiari di certo non mi trattano male, perchè comunque mi hanno scelto. Ma allo stesso tempo non mi fanno neanche sentire parte di loro. Per loro sono ancora un’estranea. Non mi conoscono, del resto. Col fratello grande parlo, ma quando arriva la sorella lui non mi ascolta più, com'è forse normale che sia. La sorella ha le bambole più belle delle mie. Io alle mie ho tagliato i capelli. Lei hai i quadernetti con le roselline e porta la gonna, ha i capelli lisci e il cerchietto rosa. Io porto i pantaloni e i ho capelli mossi, e i miei quaderni sono di un colore solo e tutti scribacchiati in modo disordinato.
Con me è venuto a stare nella famiglia anche un altro figlio adottivo. Ma io e lui, anche se abbiamo molte cose in comune, non abbiamo fatto tanta amicizia. Ci sentiamo uniti dagli stessi problemi. Ma ognuno di noi gioca per conto suo. Poi a me i suoi giochi non piacciono per niente.
In questa nuova famiglia come dicevo ho anche un fratellone che sta lontano, abita a Roma, ed è il mio preferito. Secondo me è l'unico davvero simpatico, l'unico che capisce davvero i miei problemi. Ci scriviamo lunghe lettere. Mi manca e spero di andare presto a trovarlo. Mi ha detto che quando ci vediamo mi porta a mangiare fuori, al ristorante.

Io mi trovo in questa famiglia perché “mi hanno fatto un'offerta che non potevo rifiutare e sono molto fortunata ad essere stata scelta da loro”. Questo l’ho sentito dire dai vicini, anche se non so cosa significhi di preciso.
Io ogni tanto però sento nostalgia, e vado a trovare i miei fratelli grandi della vecchia famiglia, che mi accolgono sempre bene e che dicono che gli manco e che adesso che ho una nuova famiglia non vorrò più bene a loro.
A volte vorrei fare fagotto e scappare. Ma lo farò solo quando sarò davvero convinta. Non voglio fare come quelli che scappano e poi tornano con le orecchie basse e lo sguardo che chiede perdono, il viso e l'anima graffiati da qualche brutto incontro lungo la strada.

Ma oggi per fortuna ho una bella notizia: oggi torna il mio migliore amico, dopo una lunga assenza. Nel pomeriggio, se mi danno il permesso, voglio salire a casa sua.
Credo che andremo a prenderci un gelato e poi al parco. Poi ci siederemo su una panchina, le schiene vicine e un po' curve; lui mi racconterà tutto quello che ha fatto in questi giorni, e io gli racconterò della mia nuova famiglia.
O anche, resteremo così, ad ascoltare i nostri respiri, a guardare lontano, senza bisogno di dire nulla.

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